Non si sopravvive a Palazzi

palazziAl di là del giudizio che riguarderà Genoa, Inter e Moratti sulla questione Milito-Motta - decisione che verrà presa tra un mese circa, quando molti di noi saranno al mare - la meccanica del deferimento ha provocato lo sdegno di molti, tra i quali parecchi insospettabili. C'è ancora chi vuole distinguere tra forma e sostanza, ma qui, come nell'arte (quella di sapersi arrangiare, diremmo), la forma è la sostanza. Qualsiasi sistema giudiziario, anche il più rozzo, per mantenere una parvenza di credibilità deve rispettare almeno due canoni: tempi certi e trasparenza. Una questione sostanziale, assai più che formale.
Prescindendo perciò da un giudizio sulle pene da infliggere - giudizio che spetta soltanto ai giudici preposti - è l'attività del Procuratore Palazzi a essere chiamata in discussione. La giustizia sportiva, ancor più di quella ordinaria, ricadendo i suoi effetti all'interno di un regime concorrenziale, deve in primis garantire tempi certi. Venti giorni per giudicare la Juventus nell'affare Calciopoli, e quattro anni (e oltre?) per acquisire le intercettazioni riguardanti l'Inter, rappresentano una distanza inconcepibile per un sistema giudiziario. Di mezzo, l'abbiamo detto, c'è la prescrizione. Evitata nel caso Juventus, grazie alla fuga di notizie - un reato, sia chiaro, ma come al solito senza nome - e al viaggio di Borrelli che, da privato cittadino, non ancora nominato inquirente dalla giustizia sportiva, acquisì gli atti della Procura di Napoli (ulteriore irregolarità). Lasciata scadere invece nel caso dell'Inter, grazie alla negligenza della Procura Federale e di quella ordinaria di Napoli.
I tempi contano eccome, e contano di più all'interno del mondo del calcio. Un mese di differenza nel giudicare può significare un diverso effetto sulle classifiche, e una diversa ricaduta sul sistema di concorrenza, tacendo degli importanti effetti economici. Figurarsi quattro anni.
I dodici mesi passati dai fatti che hanno dato origine al deferimento fino al deferimento stesso per la questione Motta-Milito sono un'altra distanza inconcepibile. Tanto più che Palazzi si diede briga di rispondere, ancora un anno fa, al giornalista de La Stampa Roberto Beccantini, che gli faceva notare la possibile irregolarità, con un motto da illusionista ("non tutto quello che è, sembra; e non tutto quello che sembra, è"). Dando ad intendere che, con tutta evidenza, era a conoscenza del caso.
Ora: che i possibili effetti dell'invalidità dell'atto di trasferimento siano da stabilirsi ex nunc o ex tunc, in entrambi i casi se il deferimento fosse scattato a campionato in corso, fuori perciò dalla finestra di mercato in cui il trasferimento avrebbe potuto essere effettuato di nuovo, Diego Milito e Thiago Motta sarebbero dovuti tornare, in caso di giudizio che accettasse la tesi del deferimento, a vestire la maglia rossoblu. Fa una bella differenza.
Si è lasciato invece passare tutto questo tempo e, con scelta irrituale, si è deciso di comunicare il deferimento soltanto alle parti in causa, senza fare seguito con un comunicato ufficiale, come di consueto. Qui si giunge al problema della trasparenza, che è annoso. Un collega di Palazzi, il magistrato sportivo Tapinassi, in un'intervista al Secolo XIX, lamentava già nel 2005, prima di Calciopoli, come Palazzi "non passasse nemmeno una carta" ai suoi collaboratori, che volesse fare tutto lui, senza informare alcun altro. Il caso di allora era parimenti interessante. Il Secolo XIX pubblicava in quei giorni alcune intercettazioni di un'inchiesta della Procura di Genova sul calcioscommesse. In una telefonata tra Flachi e Bazzani (allora alla Lazio) si adombrava la possibilità del "biscotto" nel derby di ritorno della stagione 2004/2005, quella di Calciopoli, tra Lazio e Roma. Una partita già allora al centro di molte contestazioni, per l'eccessiva prudenza con cui venne giocata e il continuo confabulare tra le parti. Il Secolo XIX chiese alla Procura Federale se, sulla scorta di queste nuove risultanze, la partita fosse finita sotto inchiesta. Gli venne risposto che l'indagine era già stata archiviata. Venne perciò fatta richiesta del procedimento di archiviazione, e Palazzi rispose che era stato deciso di renderlo noto soltanto alle parti. Trasparenza, appunto.
Sei anni di giustizia a marce, e di tale opacità, hanno prodotto oggi questa deriva, contro cui si è scagliato, in ultimo, anche il vicedirettore della Gazzetta dello Sport, Ruggiero Palombo. Il caso Milito-Motta, e quello recente Bombardini-Brienza, per cui è stato deferito Zamparini ma non la Roma, sono certo meno gravi nella sostanza del doppiopesismo adoperato in Calciopoli, dell'ignavia del caso pedinamenti Telecom, dell'assurdità del caso plusvalenze, in cui venne condannato Brunelli, un ragazzo di 18 anni, cui vennero rifiutate le cure mediche, punendo le società che se l'erano palleggiato, per gonfiare i propri bilanci, con una multina.
La forma però è la stessa, e diventa sostanza: le opacità, la doppia velocità, il doppio peso sono sistematici.
Più grave di tutti è forse il mancato deferimento a Moratti, per le dichiarazioni dopo l'ultimo Inter-Sampdoria, quello delle manette di Mourinho, cui seguirono le squalifiche di alcuni giocatori interisti. Il presidente dell'Inter si lamentò davanti ai microfoni della stampa tutta, di un presunto "tradimento" di Abete, il presidente della FIGC, con cui si era sentito al telefono nei giorni precedenti. La stampa tutta riferì che tale arrabbiatura era dovuta al fatto che le sentenze del giudice sportivo erano state pubblicate prima della partita con il Chelsea, e non, come promesso, dopo. Il fatto mise Abete in grave imbarazzo, e lo costrinse a una secca e doverosa smentita. Palazzi invece non ebbe alcun imbarazzo, nonostante si adombrasse una commistione pericolosissima tra potere esecutivo e giudiziario.
I problemi originati dalla condotta di Palazzi riguardano perciò da vicino la FIGC - che peraltro tramite la Commissione di Garanzia su proposta di Abete lo ha nominato nel suo ruolo - per il loro sistematico venire meno ai principi di equità e trasparenza, e se persino l'alludere a una mancata separazione dei poteri non è ritenuto meritevole di essere oggetto di deferimento, i conti si chiudono.
Il nuovo calcio pulito, quello di cui Abete si è improvvisato alfiere, è ufficialmente fallito, nonostante il nuovo codice di giustizia e il nuovo codice etico.