Inversione dell'onere della prova: una panzana!

GazzettaLa Gazzetta la mena ancora con la questione dell' "inversione dell'onere della prova", cardine, a quanto pare, dell'ordinamento giuridico sportivo italiano. In parole povere, per la Gazzetta spetta alla difesa dimostrare la propria innocenza, e non all'accusa dimostrare la colpevolezza di chi è tirato in ballo da un accusatore. Mettiamola così. Ci sono due soggetti X e Y chiusi in camera, soli soletti, lontani da occhi ed orecchie indiscrete. Succede qualcosa. Apprendiamo di questo qualcosa quando il soggetto X si rivolge all'Ufficio Indagini, accusa di corruzione il soggetto Y e la notizia compare fulminea su tutti i quotidiani sportivi nazionali. L'offerta di denaro, secondo l'accusa, sarebbe avvenuta proprio lì, in quella camera, dove i due erano soli soletti, lontani da occhi ed orecchie indiscreti.

Ammettiamo adesso che nella giustizia sportiva viga il principio di inversione dell'onere della prova, e spetti quindi all'accusato dimostrare la propria innocenza. Come potrebbe mai Y smontare gli addebiti mossi a suo carico? Le prove a sua discolpa - perché di prove, e non chiacchiere, stiamo parlando - potrebbero essere sostanzialmente due. Una prima possibilità sarebbe per Y dimostrare che in quella camera, in quel giorno e a quell'ora, non c'era proprio, ma era magari in compagnia di amici in un villaggio turistico a 200 km di distanza, che sorseggiava un daiquiri ai bordi di una piscina, come da foto apparsa sul giornalino locale del giorno dopo. L'altra possibilità è che Y abbia registrato la conversazione intervenuta tra i due ed in essa non sia rinvenibile alcuna allusione ad un tentativo di corruzione. In tutti gli altri casi, non si capisce come Y possa difendersi, se non smentendo il contenuto del colloquio e tramutandolo in una conversazione vertente su enogastronomia e frigoriferi di ultima generazione. Ma "smentire" è considerabile una prova a discolpa? Sarebbe una chiacchiera, più che altro. Come chiacchiere sono le accuse "non provate" di X. La differenza tra la chiacchiera di X e quella di Y è che, vigendo l'inversione dell'onere della prova, starebbe all'accusato Y dimostrare che quelle di X sono falsità. L'ultima carta che Y può giocarsi è allora cercare di minare l'attendibilità del suo accusatore.

Lo leggiamo tutti, ovunque: Carobbio è ritenuto attendibile, credibile, affidabile dalla Procura. La domanda che mi sorge spontanea è allora questa: a che serve valutare la credibilità di un accusatore se esiste l'inversione dell'onere della prova? Vigendo questo principio, infatti, all'accusato spetterebbe difendersi da qualsiasi accusa addebitatagli, indipendentemente anche dalla salute mentale del suo accusatore. Questo può essere un pazzo, un paranoico, un millantatore stra-arci-noto, un bugiardo certificato. Se la Procura dovesse mettersi a vagliare l’attendibilità dell’ accusatore, la Procura di fatto starebbe cercando di provare che quello che X è andato affermando è vero, e non è frutto di fantasie, di astio, di problemi mentali o quant'altro. Infatti la Procura, così facendo, starebbe cercando di valorizzare quanto è in suo possesso, starebbe cercando di provare che un fatto è avvenuto. Dove sarebbe allora questa "inversione dell'onere della prova"? Se esistesse l’inversione dell’onere della prova, allora, spetterebbe solo all’accusato discolparsi tentando di minare la credibilità del suo accusatore, mentre la Procura se ne sta lì bella e buona a svolgere funzioni di dattilografa, a redigere i verbali, acriticamente.

Poniamo allora che la difesa di Y cerchi di minare l’attendibilità dell’accusatore affermando e dimostrando che tra i due non vi erano buoni rapporti a causa di un litigio passato, ed è per tale risentimento, quindi, che l’uno avrebbe accusato di corruzione l’altro. Mi chiedo come potrebbe mai la Procura convincere il giudice che questo astio non abbia avuto alcuna influenza sul comportamento di X. Un episodio del genere sarebbe infatti considerabile di scarsa rilevanza soltanto nel momento in cui vi fossero una serie di riscontri, di prove, di valide ragioni per ritenere che l’accusatore, al di là del litigio, sia comunque credibile. Ma dato che per il principio d’inversione mancano i riscontri e le prove dimostrative dell’attendibilità dell’accusatore, non si capisce sulla base di cosa, se non una sensazione personalissima, un giudice possa affermare che quel litigio non abbia avuto alcuna importanza nella genesi delle accuse. Un giudice, insomma, non potrebbe che affermare qualcosa del genere: “Sebbene non vi siano alcuni elementi che avvalorino la veridicità delle parole dell’accusatore, per me dice il vero, e basta. Sento pertanto che quell’episodio raccontato dalla difesa non ha avuto alcuna influenza. Chiamatelo sesto senso”. Con l’inversione dell’onere della prova, insomma, l’esito di un processo sarebbe determinato esclusivamente dallo stato d'animo del giudice, dal sentimento di antipatia-simpatia che lo lega all'accusato o all'accusatore.

L’inversione dell’onere della prova, insomma, già sotto un piano “logico”, pare non esistere. E nemmeno sotto un piano giuridico, dato che di essa non si trova traccia nel CGS.
Infine, basterebbe osservare il comportamento attuale della Procura Federale per capire che l’esistenza di questo principio è una panzana. Qualcuno mi dovrebbe spiegare, ad esempio, perché la Procura faccia le audizioni e chiami a testimoniare questo e quell’altro. Per quale motivo lo fa, se non per trovare conferme e smentite ad un’accusa, riscontri? La Procura, di fatto, sta indagando, e le indagini vengono compiute proprio per stabilire la sussistenza o meno di un’accusa. Con l'inversione dell'onere la Procura avrebbe dovuto sentire un accusatore, prendere per vere le sue parole e terminare le audizioni. Quello che sta compiendo, invece, è simile a ciò che si osserva in ambito penale per i chiamanti in correità: valutare la credibilità dell’accusatore e delle sue parole e ricercare riscontri esterni. Cioè fornire la prova che un fatto sia accaduto, e sia stato compiuto da questo o da quell'altro.

Parliamo, infine, pure della perdita di tempo che potrebbe aversi nel caso in cui esistesse davvero un principio del genere. Il tizio X, ad esempio, si presenta alla Procura ed accusa Y di averlo corrotto offrendogli 278 trilioni di lire in monete da cento lire, consegnategli in un jet lungo 720 chilometri guidato da una scimmia robot gravida fabbricata nel 1878. Ora, se esistesse il principio di inversione, spetterebbe alla difesa dimostrare che jet di 720 km non esistono, che scimmie robot non possono guidare aerei, che scimmie robot non possono essere gravide, che nel 2012 non ci sono più le lire, che 278 trilioni è una cifra enorme, ecc. ecc.
E la difesa se la caverebbe con poche difficoltà, ovviamente. Ma facile o non facile che sia il compito della difesa, se esistesse l'inversione dell'onere della prova la Procura comunque dovrebbe impegnarsi a convocare l'accusato, porgli delle domande e sentire ciò che esso ha da dire, dato che spetta alla difesa provare la propria innocenza. E questo indipendentemente da quanto grosse possano essere le baggianate che uno dichiara. Perché è insito nel concetto di “inversione dell’onere della prova” che uno debba difendersi indipendentemente dalla genericità o precisione delle accuse che gli vengono rivolte. Perché se iniziassimo a mettere dei paletti, a dire ad esempio che “l’inversione si attua, ma a patto che vi siano accuse credibili, precise, coerenti, minuziose”, allora perderebbe ogni senso: se un pentito è credibile, coerente, preciso, minuzioso, tutto ciò eleverebbe le sue parole a rango di prova in mano all’accusa, e la difesa si comporterebbe né più né meno di come si comporta in ambito penale: difendendosi.

Tra le cose più assurde che deriverebbero da questa fantomatica inversione dell'onere della prova, infine, vi sarebbe che quanto più generica è l'accusa di un malintenzionato, tanto maggiore è la possibilità che l'accusato venga condannato. Perché se il bugiardone affermasse che il giorno 21 maggio alle ore 15 ha ricevuto un assegno di 50milioni da Nicola, Nicola avrebbe più possibilità di dimostrare la propria innocenza, in quanto potrebbe provare o che il 21 maggio non era lì, o che non vi era alle 15, o potrebbe mostrare l'estratto conto bancario dal quale non figurerebbe l'emissione di quella cifra. Ma se l'accusatore dicesse semplicemente che 'Nicola ha tentato di corrompermi', diverrebbe impresa ardua, se non impossibile, smentire l'accusatore e guadagnarsi l'assoluzione.

Io intanto domani parto e vado all'Ufficio Indagini. Denuncerò Galliani. Dirò che quel dirigente del Milan, che parla arabo ed ha i capelli lunghi fino alle natiche, ha tentato di corrompermi. Spetterà alla sua difesa minare la mia credibilità dimostrando che il buon Adriano capelli in testa non ne ha. Da un pezzo.


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