Maledetti giardinieri

campo irrigatoCercare risposte certe laddove la comunità scientifica internazionale pare ancora brancolare, se non nel buio, nella penombra, sarebbe pretestuoso.

Ancora più pretestuoso può apparire il fatto che il Team di Ju29ro.com scriva del dramma di Stefano Borgonovo in chiave, diciamo così, sportivo-giudiziaria, anziché per esprimere la propria solidarietà verso un uomo, e una famiglia, travolti dalla perfidia del destino. Prima di essere tifosi appassionati siamo uomini, non caporali; augurare ogni bene possibile a lui e chi gli sta vicino, è quanto di più scontato possiamo fare.

Se però questa vicenda presta il fianco anche a una lettura meno umanitaristica, il motivo non va ricercato nel proverbiale rancore di coloro che qualcuno ha definito "vedove di Moggi", bensì nella notizia che un magistrato della procura di Torino starebbe tentando di fare luce sulle cause che legano in maniera così sospetta ex calciatori e SLA (la sclerosi laterale amiotrofica) seguendo un percorso quantomeno curioso.

In un articolo di Gaia Piccardi apparso venerdì 3 ottobre sul Corriere della Sera (QUI), viene spiegato come gli investigatori inviati dalla procura, coadiuvati dagli esperti della Facoltà di agraria dell'Università di Torino, stiano pensando di risalire alla possibile sorgente del terribile male che ha già colpito tanti ex calciatori quanti ne basterebbero per formare una squadra completa di riserve, e con un'incidenza di ben cinque volte e mezza superiore alla media attesa.

La teoria del magistrato torinese sarebbe orientata verso il ricovero attrezzi degli addetti alla manutenzione dei campi da gioco, e più precisamente ai prodotti utilizzati per tale attività.

Certamente non sta a noi indicare la via per fare chiarezza sulla natura di tante affezioni sospette, ma quella stessa comunità scientifica ancora distante da un verdetto certo, una via in proposito l'ha indicata da tempo; è quella del famigerato doping, e di tutto ciò che ruota attorno all'utilizzo improprio di sostanze potenzialmente dannose per la salute degli atleti.

Non crediamo di dover passare per visionari - o, peggio, per sovversivi - nel ritenere che forse avrebbe dovuto essere proprio quella via ad essere battuta, piuttosto che la formaldeide contenuta in taluni diserbanti o nei pesticidi utilizzati per rendere l'erba più verde.

Questa riflessione prende spunto non già da una dozzinale voglia di sensazionalismo, bensì dal fatto che proprio quello stesso magistrato improvvisamente dotatosi di pollice verde, circa una decina di anni fa prese spunto dalla delirante intervista rilasciata da un mediocre allenatore a un settimanale per allestire il più grande processo penale della storia ai danni di una società di calcio. Un processo nato con l'accusa di abuso di farmaci e trasformatosi in corso d'opera in processo per doping, nei confronti di una società la quale, a tutt'oggi, non ha ancora avuto la disgrazia di dover piangere un solo suo ex atleta per le ragioni che quell'inchiesta avrebbe dovuto svelare al mondo, finendo invece miseramente per fallire dopo sette, lunghi, interminabili anni, nonostante un processo di primo grado condotto con discutibile piglio intimidatorio nei confronti degli illustri testimoni e una sentenza della Cassazione che, al contrario di quanto viene impunemente affermato dalla solita disinformazione dello stivale, non ha potuto che confermare l'assoluzione (ripeto: ASSOLUZIONE) dall'accusa di doping.

Quali siano i motivi che hanno indotto un giustiziere della notte ispirato a mezzo stampa a diventare un neo scienziato ispirato da mezzo centinaio di vite rovinate (quelle degli ex calciatori e delle rispettive famiglie, appunto), purtroppo appare chiaro ed evidente solo avvalendosi di dosi industriali di dietrologia.

Ma oggi non ci pare proprio il caso.


(...)
E allora la mia statura
non dispensò più buonumore
a chi alla sbarra in piedi
mi diceva Vostro Onore,
e di affidarli al boia
fu un piacere del tutto mio,
prima di genuflettermi
nell'ora dell'addio
non conoscendo affatto
la statura di Dio.


"Un giudice" (F. De Andrè, 1976).