Galliani, la vittima complice

GallianiSabato 15 settembre, al termine di Siena-Milan, Adriano Galliani si è lamentato dei fischi e degli insulti dello stadio che lo hanno spinto ad abbandonare la tribuna subito dopo il gol di Nesta. «La contestazione? E’ il livello medio del calcio italiano, in Champions League certe cose non si verificano», dichiara l’amministratore delegato rossonero.

Galliani nel caso specifico ha ragione, è deprecabile l'abitudine dei tifosi italiani di tifare "contro" e non "solo per incoraggiare la propria squadra", deprecabile l'insultare i dirigenti ospiti. Questa è mancanza di cultura sportiva. Nell'Italia dei mille campanili prevale l'insulto e la denigrazione dell'avversario.
Chi ha il dovere di "educare e dare il buon esempio", per primi i politici ma anche i dirigenti del calcio, si propone, invece, come cattivo esempio che viene anche amplificato da media schierati e superficiali.
Ma gli insulti a Galliani sono anche figli della "cultura del sospetto" e le sue lamentele l'altra faccia di una stessa medaglia. Galliani non è esente da responsabilità per quanto "non ha fatto" nei ruoli che ha ricoperto. Il decadimento dei valori sportivi ha come causa anche un inferiore livello della classe giornalistica sportiva e dei dirigenti di calcio di questo paese.

Galliani c'entra. Come presidente di Lega, quindi presidente di tutti i presidenti, nulla ha fatto perché i colleghi non ricorressero alle lamentele, alimentando la "cultura del sospetto", per giustificare i propri errori o fallimenti sportivi. Anzi, lo ricordiamo nel gesto dell'ombrello rivolto agli avversari, non certo un esempio edificante ed educativo. Ma presidenti e protagonisti del calcio non avrebbero potuto piantare "il seme del sospetto" se i media non fossero stati colpevolmente complici.

Soprattutto dall'avvento delle TV commerciali abbiamo assistito ad un proliferare di trasmissioni che hanno alimentato la cultura del sospetto, facendo da cassa di risonanza alle lamentele ed ai sospetti. La funzione critica ed educativa che compete al giornalismo sacrificata sull'altare dell'audience. Mediaset per importanza e dimensioni è stata portabandiera nel diffondere la "cultura del sospetto": nelle sue trasmissioni sportive ha sempre permesso a "opinionisti di parte" di diffonderla a piene mani. Seminare il sospetto era utile a "delegittimare" l'avversaria, quasi sempre la Juventus.

La cultura del sospetto, una volta radicata nella massa come è oggi, colpisce tutti, anche Galliani. Per la gente Galliani è quel dirigente che, in una intercettazione nota a tutti, Collina voleva incontrare in gran segreto, quel Collina che inopportunamente è stato "promosso" al ruolo di Designatore e non allontanato o sospeso come suoi colleghi che, forse, telefonavano a dirigenti. I tifosi avversari ricordano anche l'altra intercettazione nella quale, al Meani che gli chiedeva se avesse ricevuto la telefonata di Collina, Galliani risponde: "Adesso lo cerco io".

A poco serve l'impegno a "normalizzare" profuso da tutti, Mediaset in primis, per ignorare il caso, a poco servono le giustificazioni di Gussoni...la gente ricorda.
Galliani non è estraneo alla galassia Mediaset. Basta ricordare la messa al bando di Serena, in diretta, per i giudizi espressi sul Milan.

Galliani se è vittima degli insulti, ed ha ragione a lamentarsene, è anche complice: non ha mai stigmatizzato o contrastato la diffusione della "cultura del sospetto" portata avanti da presidenti e media, inclusa Mediaset.
Ognuno, oltre a lamentarsi, inizi a fare autocritica e a guardare in casa propria: se gli opinionisti Mediaset seminano sospetti, il "frutto malato" non sempre tocca agli avversari, può toccare anche a Galliani.
Cambi, chi ha la possibilità di incidere sulla cultura sportiva di questo paese.