Moggi replica a don Mazzi

don MazziOrmai parlare male di Moggi è diventato il più praticato sport nazionale, al quale pochi si sottraggono. Non ha perso occassione di farlo neppure don Mazzi, il prete più presenzialista sulle televisioni pubbliche, commerciali, nazionali e locali. Moggi risponde a don Mazzi dalle colonne del quotidiano online www.papanews.it, con questo articolo che riportiamo:

Cosa non si fa per un biglietto omaggio in tribuna d’onore a San Siro - Il Vangelo di Don Mazzi: predicare bene e razzolare male.

In un mio recente articolo su ’Petrus’, il quotidiano on-line sul Pontificato di Papa Benedetto XVI (irresponsabilmente definito dal suo ex collaboratore Bruno Volpe come “quotidiano cattocomunista”), ho illustrato e commentato il punto di vista di un giornalista di ‘Repubblica’, Fulvio Bianchi, a proposito delle ultime rivelazioni di Tavaroli e delle “responsabilità” di Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora nella vicenda delle intercettazioni e dei dossier Telecom.

Mi ero limitato a riportare i fatti e gli interrogativi che il noto giornalista, titolare della seguitissima rubrica “Spy Calcio” sul sito di “Repubblica”, aveva proposto all’opinione pubblica con la logica dei ragionamenti di tutte le persone che non hanno ancora portato il cervello all’ammasso e che non hanno gli occhi e le orecchie foderate di prosciutto.
Chiudevo quel mio intervento con questa affermazione: “Dubito che ci possa essere ancora qualcuno disposto a credere all’estraneità dell’Inter negli affari della premiata ditta Telecom e della sua Security Service”. Devo ammettere che mi sono sbagliato: esiste qualcuno che crede alle favole di Tronchetti Provera e Buora, e questo qualcuno si chiama don Antonio Mazzi (intervistato - che combinazione! - su un anonimo sito Internet dal Volpe di cui sopra).

Guarda caso, ho qui davanti a me un libro di don Mazzi intitolato “Nel paese dei balocchi”, edito da Piemme nel 1994. Un libro che faceva seguito a “Pinocchio e i suoi fratelli”, del 1993, sempre edito da Piemme. Non ci sono dubbi, dunque: quel prete ha una notevole esperienza in fatto di favole e si può considerare senza dubbio uno dei massimi esperti di Pinocchio. Al punto che temo si sia immedesimato in quella parte ormai da molti anni.
Esempi in merito ce ne sono molti. Il più sintomatico e vergognoso è quello accaduto quando il povero Don Pierino Gelmini si trovò nell’occhio del ciclone per una serie di accuse infamanti e su cui la Magistratura ancora sta indagando. Io, che credo che ogni persona sia innocente fino a che non sia stato dimostrato il contrario, rimasi piuttosto sconcertato quando lessi sul ‘Corriere della Sera’ che Don Mazzi era stato il primo a “scaricare” pubblicamente don Gelmini, addirittura correndo da un magistrato per farsi interrogare e accusarlo.
A poco servì una imbarazzata e reticente letterina-dietrofront (secondo lo stile-Pinocchio) inviata al ‘Corriere’ il giorno dopo; una lettera in cui don Mazzi non smentiva nulla. E confermava indirettamente il suo stile: picchiare duro contro chi è in difficoltà, bastonarlo, infierire, sputargli addosso, trattarlo come un lebbroso che va evitato e additato a tutti come essere insulso e schifoso. Mi pare esista un chiaro e aperto “conflitto di interessi”, chiamiamolo così, tra quelli che dovrebbero essere i valori, la missione, il credo, i principi di un sacerdote, e i suoi comportamenti nella vita reale.

Non voglio fare prediche a nessuno e mi meraviglio che costui non abbia ancora fatto una seria riflessione su quello che dice e sul cattivo esempio che dà. Ricordo solo che le autorità ecclesiastiche, di fronte alle sue comparsate televisive accanto a Mara Venier, Giampiero Galeazzi e al famoso suo “compare”, tale Zechila, detto “er mutanda”, dovettero intervenire pesantemente vietando che i sacerdoti comparissero in trasmissioni televisive di intrattenimento al fine di non trasformarsi, o essere trasformati, in “pagliacci”, con grave nocumento per la religione cattolica e l’immagine di chi esercita il sacro ministero.
Le autorità non fecero nomi ma la coincidenza non era stata casuale. E così, per colpa delle comparsate di Mazzi (da non confondere col direttore artistico del Festival di Sanremo…), altri sacerdoti perbene furono costretti a rinunciare agli spazi televisivi attraverso i quali era possibile far arrivare al grosso pubblico messaggi certo ben più edificanti di quelli mostrati da Mazzi accanto al “mutanda”.
Dopo la crisi di astinenza provocata in lui dall’assenza da video, il Mazzi ha subito optato per due strade: una rubrica su una tv privata, e posizioni controcorrente per avere inviti da Bruno Vespa (come quella sera che andò a sbraitare che un’assassina della propria madre e del proprio fratellino con 52 coltellate a testa non doveva restare in carcere ma doveva essere inviata nella sua comunità…).

Ma torniamo all’invito che questo Mazzi mi fa: “Entrare in un convento di clausura e non uscirne più, solo così ci possiamo liberare dalle sue stramberie”. Sarebbe stato molto più opportuno che questo invito lo avesse rivolto al suo intervistatore, tale VOLPE, [...]. Comunque, anche questa frase dimostra lo scarso rispetto che Mazzi ha nei confronti di chi entra in un convento di clausura: per lui non si tratta di vocazione, scelta personale, e comunque di una decisione da rispettare. Per lui si tratta di un modo per sbarazzarsi di quelli scomodi.
Anzi, ha offeso non tanto me, quanto tutti coloro che nel corso degli anni sono entrati in un convento di clausura, uomini e donne, dicendo che con quella loro scelta ci siamo liberati delle loro “stramberie”. Questo Mazzi è diventato anche un “giurista” ed ha affermato che “la Procura Federale del Calcio agì bene” perché “al telefono non parlava Moratti”. Che cosa non si fa per due biglietti gratis in tribuna VIP al Meazza! E così, la banda degli onesti oltre al Sarto (a proposito, che fine ha fatto? Cuce ancora per Appiano Gentile?) ha anche il Cappellano. Che invece di rispettare le indicazioni del Signore (“non guardare la pagliuzza nell’occhio altrui, ma la trave dell’occhio tuo”), auspica che io “mi ritiri a vita privata”.

E aggiunge: “Magari lo attendo con piacere nella mia comunità di recupero”. Ma recupero da che cosa? Da chi? E che cosa spera il presunto “recuperatore”? Che, grazie alla mia notorietà, lo invitino a “Porta a Porta” a spiegare come ha fatto a convincere Luciano Moggi a entrare nella sua comunità? Oppure gli interessano i soldi della retta e delle convenzioni con gli Enti Locali perché, si sa, paziente più paziente meno, tutto fa brodo, e il numero dei “recuperandi” serve solo a rimpinguare i conti correnti? E poi costui si decida: vuole che vada in convento o preferisce la sua comunità? Non posso certo sdoppiarmi…

Lo invito a non pregare per me. C’è tanta gente perbene che lo fa, gente che dà esempio quotidiano di carità cristiana con i pensieri, le parole, ma soprattutto con le opere e l’esempio. E non usa il Santo Rosario per far guarire i calciatori della propria squadra dagli infortuni, ma per cose ben più serie. Io posso solo dire, tanto per restare in tema e senza avere intenzione di sembrare blasfemo: Dio, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.

Luciano Moggi