Ora servirà tanta pazienza

marchisioFinalmente l’anno orribile è finito.
Son finiti i proclami “Crediamo alla Champions League”, matematicamente sfumata oggi, ennesimo obiettivo sbandierato (in mancanza d’altro) e puntualmente fallito.
Ironia della sorte: lo scorso anno la Juve licenziò Ranieri a due giornate dal termine del campionato a causa di frizioni nello spogliatoio e del timore di non agganciare uno dei tre posti utili per la Champions League; quest’anno alla stessa giornata di fatto la Juve si licenzia da sola.
Diciamolo: adesso siamo settimi, bisogna rimontare il Napoli altrimenti ci toccheranno i preliminari di Europa League, che significano vacanze cortissime anche in considerazione dei tempi ristretti che la disputa del Mondiale imporrà.
Rispondo con alcune riflessioni che potrebbero sembrare provocazioni ma che, all’atto pratico, non lo sono per niente: rimpiango la sconfitta odierna del Genoa che non può più raggiungere questa sciagurata Juventus costretta all’anticamera dell’Europa che non conta nulla.
Che ce frega dell’Europa League?
Quest’anno se la contendono due squadre mediocri, come è sempre successo.
Ma mandiamoci la Primavera e accada quel che accada… oppure, a fine luglio su sperduti campi norvegesi o bielorussi ad incontrare squadre dai nomi impronunciabili mandiamoci i fenomeni che questo risultato se lo sono guadagnato.
Gli strapagati artefici di questo disastro.
E una volta espletata la formalità, si convochino lor signori e li si congedi, almeno una buona parte di questi "campioni".
L’obiettivo della prossima stagione dovrà essere prima di tutto il recupero di un’identità juventina soprattutto fuori dal campo, perché il campo riflette di conseguenza il lavoro e la serietà dello staff dirigenziale.
Occorre una ricostruzione totale di un ambiente ridotto in macerie dalla (non) gestione condotta in questi quattro anni a tutti i livelli dai migliori esemplari del genere "ridens".
Siamo noi adesso a chiedere tempo prima di poter puntare ai massimi traguardi, servono programmazione e competenza in tutti i settori, il compito di Andrea Agnelli e di chi lo affiancherà è il più complicato dell'intera storia juventina: neppure suo zio e suo padre hanno mai vissuto un momento simile.
Dobbiamo avere pazienza e ricordarci che, se siamo in questa situazione lo dobbiamo “ad altri”, quelli che ora passano il cerino oppure si ritagliano ruoli defilati.
Pazienza deve essere la parola d’ordine, veniamo da un’intera stagione disastrosa, simile a quella di colui che dovrebbe essere il nuovo allenatore, Rafa Benitez, da oggi come noi ufficialmente relegato col suo club (il Liverpool, non il Baracca Lugo, con tutto il rispetto) all’Europa di scorta.
Benitez prenda visione della partita di oggi.
C’è tutta la stagione della Juve in sintesi: c’è un buon inizio, ci sono le occasioni mancate di un soffio, alcune per presunzione e altre per evidenti limiti di intelligenza calcistica; c’è un predominio territoriale sterile di una squadra che vuole fare la partita ma che, appena aggredita negli spazi, regala voragini al contropiede avversario: una squadra che alla prima disattenzione difensiva su calcio piazzato subisce gol.
Così come all’andata Izco era diventato eroe di Catania firmando lo storico successo torinese (dopo poco meno di 50 anni), stavolta tocca a Silvestre segnare il gol del vantaggio e sfiorare altre due volte il bersaglio.
Ci vuole una caparbia azione di Marchisio nella ripresa per evitare di fare l’en plein (ovvero concedere 6 punti su 6 agli etnei, che comunque si consolano sottraendone 4 ai “campioni” ingaggiati da Blanc e Secco) ed evitare la quattordicesima sconfitta stagionale in campionato.
Il finale è tutto nel problematico approccio all’area avversaria che questa squadra ha denotato per tutta la stagione.
Non c’è uno juventino in doppia cifra in campionato: non capitava dal 1996/97, stagione nella quale gli infortuni che colpirono a rotazione gli avanti bianconeri diedero spazio a tutti gli effettivi, i quali contribuirono in maniera equilibrata al fatturato realizzativo di una delle Juve più belle di sempre.
Segno evidente che se hai un gioco o dei campioni (di entrambe le cose quest’anno non si è avvertita presenza), prima o poi la partita la fai tua.
Si è detto e scritto sui giornali in questa settimana di Melo e Diego e dei loro propositi per il futuro: rimango convinto che, al di là di imprescindibili discorsi di bilancio, allontanarli da Torino rimarrebbe la soluzione migliore.
Magari con l’amico Amauri compreso nel pacchetto, vista l’irritante (e perdurante) inconsistenza del capelluto naturalizzato.
Non che abbia qualcosa contro i brasiliani, è solo che non fanno per noi, lo dice la nostra storia.
Certo che se mi si domanda se avessi voluto il Ronaldo dei tempi belli oppure Arthur Antunes de Coimbra detto Zico non potrei che rispondere: “Sicuro!”.
Però a quei tempi riuscivamo tranquillamente a farne a meno, trovavamo campioni altrettanto grandi in altre parti del Globo.
Quindi perché non potremmo continuare a rinunciare ai “fenomeni” verdeoro?
Da cosa ripartire?
Iaquinta, il già citato Marchisio, Chiellini, il portiere (se non sarà necessario cederlo), persino il brutto anatroccolo ma diligente Poulsen.
Gli altri tutti sotto esame.
E parlo di Cannavaro, Grosso, De Ceglie, Zebina, Sissoko, il Trezeguet che tutti vogliono partente ma che è ancora l’unico a “sentire” la porta in un modo che gli altri suoi compagni nemmeno si sognano.
Vorrei capire, al di là dei rumors, cosa si intende fare concretamente di Candreva (perché lui sempre in panca e Diego sempre in campo?) e di Caceres, mentre avrei le idee chiarissime sul destino da riservare a Brazzo, Grygera, i tre brasiliani, l’illuminato da Gesù e, a malincuore, ma a questo punto sembra inevitabile per tanti motivi, a Camoranesi.
Finale dedicato al futuro ruolo di Mr. “Non può trattarmi così”, al secolo Alessandro Del Piero, colui che non riesce più nemmeno a dribblare una statua e dimostra una volta di più il peso degli anni che porta, un peso di cui si sono accorti tutti tranne lui, probabilmente intento a pianificare la stagione 2019/2020.
Possibilmente da titolare.
Basta con il far pesare su società e allenatori il proprio ascendente, anche in modo plateale.
Basta col ritenere il posto in squadra garantito per diritto divino, o perché il pubblico dei sostenitori personali reclama l’impiego.
Grazie di tutto, Del Piero, ma ora la fiaba è finita.
La Juventus è più importante di tutto, simboli e bandiere comprese.
E prenda esempio da Raùl, anni 33.
Non gioca e sta zitto; gioca, e mette in campo tutto se stesso come sempre.
Magari a fine stagione se ne andrà, dopo una vita madridista e tutti i record frantumati.
Ma intanto recita il suo ruolo senza polemiche, né labiali sconvenienti, zero egoismo in campo.
Mi auguro che la società, che non è la stessa società che qualche mese addietro per bocca dell'ex presidente binario poco più tardi dimissionato (Cobolli), dichiarò "La nuova Juve ripartirà da Del Piero", ragioni finalmente per il bene della Juventus.