Con il Milan sensazioni da Juve

Gigi Del NeriBelle sensazioni. Ce le eravamo quasi dimenticate.
Era dalla sera del Bernabeu, quando battemmo il Real più scarso degli ultimi 10 anni, che non provavo quella sensazione di "budella attorcigliate" dalla tensione per una partita di calcio. Nemmeno gli effimeri successi contro lo stesso Milan e le altre grandi battute in questi anni mi avevano dato la convinzione che la Juve fosse sulla strada giusta per tornare la Juve.
In società facevano i brillanti per le vittorie contro le cosiddette "grandi", dimenticandosi forse un po' troppo presto che la "grande" per antonomasia è proprio la Juventus; ci si esaltava per un piazzamento, sbandierando valori quali l’espiazione e ringraziando l’anno" purificatore" di B.
Stupidaggini che hanno finito per far scivolare nel torpore della mediocrità le aspettative di molti tifosi juventini. Un ridimensionamento mentale prima che tecnico.
Si dirà: adesso ci esaltiamo per un successo contro una squadra che "ai punti" non avrebbe probabilmente meritato di perdere.
In realtà la portata di questo successo è notevole soprattutto per come è arrivato.
La settimana mediatica era stata abbastanza (eufemismo) movimentata, le ferme (e sacrosante) dichiarazioni di Andrea Agnelli, primo degno Presidente juventino dal 2006, e il diverso metro di giudizio adottato in merito ai casi Krasic-Robinho avevano acceso il fuoco delle polemiche aizzato dai "guardiani" dello status quo originato da Calciopoli.
In più ci si erano messi gli infortuni, nota dolente che, purtroppo, si sta riproponendo ai livelli del passato ("mago Zero Infortuni" De Bellis, che succede?), e che proprio nel pre-gara ha privato la Juventus del suo uomo di maggior carisma: Giorgio Chiellini.
In altri momenti la pallida controfigura della Juventus degli ultimi anni avrebbe tenuto pochi minuti e sarebbe naufragata alla prima avversità.
Questa, invece, continua nel proprio processo di crescita, che non si sa dove potrà portare. Quel che è certo è che lo spirito della Juve che conoscevamo sembra essere tornato a manifestarsi con una certa continuità.
Non è dato sapere quale sarà il ruolo della Juve in questa stagione, ma diciamo pure che, nonostante lo scetticismo della vigilia (e il sottoscritto era in prima fila fra gli scettici), forse questa squadra potrà regalarci parecchie soddisfazioni.
Il principale artefice di questi progressi è senza dubbio Gigi Del Neri, capace di creare un gruppo in cui tutti remano nella stessa direzione, e il lento ma evidente recupero di uomini come Martinez e Sissoko lo testimonia.
Ma è a livello difensivo che il tecnico di Aquileia sta compiendo un autentico miracolo, trasformando in reparto credibile una linea composta da difensori improvvisati (Motta), altri troppo "confidenti" nei propri mezzi (Bonucci, sul quale Del Neri dovrà lavorare parecchio), altri ancora riesumati in extremis (Legrottaglie), fino ad arrivare alla staffetta più sorprendente, quella fra De Ceglie (in miglioramento costante) e Pepe, con il laziale che ha sperimentato sul campo l’idea che da qualche tempo circolava sulla sua possibile conversione a terzino.
I migliori di oggi? Su tutti Felipe Melo, dal rendimento e dalla disponibilità irriconoscibili rispetto alla scorsa stagione. Il brasiliano, in pochi mesi, da bersaglio preferito della tifoseria juventina è diventato punto di riferimento di un centrocampo nel quale il compito di rendere giocabili i palloni sporchi tocca ad un Aquilani meno appariscente del solito, ma che accumula confortanti minuti.
Sul podio anche Claudio Marchisio, il jolly tuttofare di Del Neri, che abbina qualità, quantità ed intelligenza; e poi è il turno di Quagliarella, in gran condizione e in grado di vestire i panni della prima punta senza averne le caratteristiche.
Gol splendido a parte, Nesta e compagni hanno avuto molti grattacapi dal napoletano, al quarto centro in 9 partite, con una proiezione di 15 centri a fine stagione.
Chi invece da oggi, in fatto di numeri, potrà sfidare solo se stesso è Alessandro Del Piero, ora solitario cannoniere juventino in serie A a quota 179 reti, e decisivo a San Siro come nell’occasione dell’ultima sfida scudetto vinta dalla Juventus contro i rossoneri, quando una rovesciata del numero 10 mise il cecchino Trezeguet in condizione di trafiggere Dida.
Il passo non è più quello di un tempo, il dinamismo neppure, ma è innegabile che il piede sia ancora quello più buono in tutta la rosa.
Per quanto riguarda il Milan, a tratti riesce a mettere in difficoltà l’avversario, ma la carenza di precisione, e soprattutto l’evidente differenza agonistica messa in campo dagli avversari (che avevano assenze ben più determinanti delle pur consistenti defezioni milaniste), hanno sancito il risultato negativo.
Intanto registriamo altre due certezze: Ibrahimovic segna il primo gol in carriera ad una sua ex squadra italiana ma non può gioire; lui che invece gioì quell’8 maggio 2005 seppur da spettatore squalificato (come Krasic oggi), in quella che sembra essere diventata una buona abitudine: presentarsi al cospetto dei rossoneri senza poter schierare l'uomo di spicco.
"Magari senza Krasic vinceranno lo stesso" ha detto un ironico Galliani in settimana, in realtà convinto del contrario. Speriamo per noi che il reggente milanista si cimenti anche in futuro con questo tipo di pronostici.

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