Derby: vince la Juve "fatta in casa"

marchisio01Dicono che il derby sia una partita diversa dalle altre, dove i valori non contano quanto le motivazioni.
Dicono che lo sentano soprattutto i torinesi, quelli di fede granata in particolare, convinti come sono della loro supremazia cittadina.
Questo nelle leggende alimentate da certa mitologia granata, mentre per la realtà si prega di confrontare le reazioni di Torino alle feste scudetto e promozione delle rispettive squadre: un paragone impari e non solo numericamente.
C'è una cosa vera e sempre d'attualità: per il Torino e i suoi tifosi le due partite contro la Juve (ultimamente una rarità, va detto) rappresentano la ragione di un'intera esistenza.
Stasera il tremendismo granata si è reincarnato in Glik, novello Pasquale Bruno (o Policano, tanto per rimanere agli ultimi anni decenti del Toro) che, dopo una mezz'ora di sostanziale studio, lasciava i suoi in 10 contro 11 per colpa di un'entrata folle su Giaccherini.
Prima c'era stato spazio per poco: l'unica occasione granata con Meggiorini pareggiava l'opportunità per Pogba, inspiegabilmente fermato per un fallo su Gillet compiuto da... Ogbonna!
Già prima dell'espulsione la Juve sembrava aver preso campo, dopo l'iniziale “melina” granata fondata sugli scambi fra Gillet, Ogbonna, Gazzi e Basha, tattica che aveva ottenuto il risultato di addormentare la partita.
Per l'occasione Conte aveva rispolverato il 4-3-3, risparmiando Vidal, Chiellini (“non era sereno” ha detto Alessio), Asamoah e Quagliarella (per il quale - forse - si può parlare di punizione?) in vista della trasferta ucraina, quando la Juve sarà attesa per la partita più importante di questa prima parte di stagione.
La scelta di Giovinco e Giaccherini esterni offensivi (a proposito: che fine ha fatto Pepe?) non mi è parsa una gran mossa, soprattutto perché nessuno dei due riusciva a saltare il proprio avversario diretto e, visto l'atteggiamento chiuso del Toro, non avere rifornimenti dalle fasce costringeva la Juve a tentare dalla distanza, soprattutto con Pogba, il quale sembrava riuscito ad apporre il proprio marchio sulla partita quando veniva fermato da una “parata” di Basha in area di rigore.
Rocchi nell'occasione faceva finta di niente, evitando di applicare il regolamento che avrebbe suggerito di mandare il mediano granata sotto la doccia insieme al collega Glik, e Pirlo si esibiva nel terzo errore su tre tentativi dal dischetto da quando è bianconero, calciando alto come un Barbadillo qualsiasi.
All'intervallo la mossa decisiva: tolto Giaccherini - non è una punta, meno ancora può partire da destra - e inserito un attaccante centrale (Bendtner nell'occasione), sono state però soprattutto le inversioni che hanno riguardato Vucinic (spostato a sinistra) e Giovinco (a destra) a cambiare la partita.
E da un'accelerazione del piccolo attaccante scaturiva il cross per Marchisio, che irrompeva di testa e al minuto 57 sbloccava il risultato.
Azione confezionata e conclusa da due ragazzi nati a Torino e cresciuti nel vivaio bianconero che probabilmente sentivano questa partita più di tutti, da quante ne hanno giocate nei tornei giovanili in compagnia di De Ceglie, a sua volta al rientro e mai in affanno su Cerci.
Ed erano ancora loro, prima Giovinco e poi il “Principino”, a chiudere il match con due belle conclusioni sulle quali Gillet non poteva opporsi, per un 3-0 finale che sanciva il ribaltamento di altri luoghi comuni sul derby torinese.
Il Toro era famoso per il suo vivaio ricco, un vivaio che riforniva mezza serie A e consentiva dignitose figure alla prima squadra, mentre la Juve era il club che i giocatori li comprava se non proprio affermati comunque già "pronti" e del settore giovanile non si curava per nulla.
Ebbene, stasera si è chiuso il cerchio: il settore giovanile del Torino non esiste praticamente più (escluso forse il solo Ogbonna), e il derby viene vinto dalla Juve con il decisivo apporto di due ragazzi “fatti in casa”, più il già citato De Ceglie.
L'unica cosa che non cambia è il destino delle due squadre: il Toro è sempre lì, a barcamenarsi fra la cadetteria e un modesto piazzamento in serie A, la Juve è stata mandata all'inferno ma senza piangersi addosso è tornata al posto che le compete in poco più di un lustro.
Anche grazie all'apporto di gente che la maglia bianconera ce l'ha cucita addosso da sempre.
Per i cugini, svanita la possibilità - tanto agognata - di violare per primi la casa bianconera (mannaggia al calendario e a Milito!) rimaneva la chance di ritornare a vincere una stracittadina dopo 17 anni e 8 mesi dall'ultima volta.
Eravamo ancora nel Ventesimo Secolo, l'inventore di Facebook andava alle elementari, Clinton era a metà del suo primo mandato presidenziale, al Quirinale c'era Oscar Luigi Scalfaro e "Forrest Gump" dominava la notte degli Oscar.
Diciassette anni di batoste, alcune memorabili (un 5-0 nel 1995/96, uno 0-4 nel 2002/03), l'unico ricordo positivo di questi anni per i granata è legato al 3-3 segnato dalla “buca” di Maspero, divenuto idolo di chi un tempo osannava Pulici e Graziani.
Niente da fare, sarà per un'altra volta, com'è rinviato l'appuntamento dei granata col gol nel derby: manca da 7 partite, dal febbraio 2002, da quel derby ricordato per il gesto delle corna di Maresca dopo il pareggio juventino nel finale, in quella che un tempo definivano "zona Cesarini" (che era gobbo pure lui).
Tempi duri per il tremendismo.

 

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