Finito il campionato, il calcio si ritrasferisce, giocoforza, nelle aule di giustizia: sportiva, penale ed infine amministrativo-contabile. Il primo fronte è quello del calcioscommesse, con l'arrivo dei primi deferimenti. Abete aveva promesso solerzia e rapidità di giudizio, “entro maggio sarà tutto finito” aveva detto. Difficilmente vi sarà un giudizio definitivo entro questo mese. Il rischio è che a voler fare in fretta si possa fare di nuovo giustizia sommaria, come accaduto nell'estate 2006. Certamente le prove in questo caso sembrano molto più consistenti: si sono trovati i soldi e molti incolpati hanno ammesso le loro responsabilità chiamando in causa anche altri responsabili.
Nell'ambito penale è invece arrivata l'esposto degli imputati di Napoli alla Procura di Roma.
Moggi, De Santis, Pairetto, Bertini e Ceniccola hanno depositato alla Procura di Roma un esposto-denuncia in cui chiedono che si indaghi su chi ha indagato. Nella denuncia si chiede alla Procura di Roma di appurare se i PM Narducci e Beatrice, responsabili dell'indagine su Calciopoli, nonché Auricchio e la squadra off-side, che su mandato dei PM hanno indagato, siano colpevoli di falso ideologico, abuso d'ufficio e falsa testimonianza (in quest'ultimo caso sotto i fari la lunghissima deposizione di Auricchio nell'aula 216). E l'esposto era ormai atteso, vista la risultanza delle controindagini compiute dalle difese. Secondo la tesi degli imputati, l'attività svolta dai loro difensori avrebbe rilevato nell'indagine troppe incongruenze, troppe dimenticanze e troppe prove “tralasciate" perché si possano ipotizzare semplici disattenzioni.
Il dubbio delle difese è che l'indagine sia stata indirizzata dall'inizio con l'unico scopo di puntellare l'ipotesi investigativa dell'esistenza di una cupola, guidata da Moggi, che falsificava i campionati. La sentenza di primo grado di Napoli, pur avendo condannato i principali imputati, non ha risolto i dubbi delle difese su come siano state condotte le indagine. E nelle motivazioni alla sentenza non mancano gli accenni critici del tribunale nei confronti della Procura e degli inquirenti. Spetterà al tribunale di Roma stabilire se chi ha indagato ha rispettato la legge ed ha operato nei limiti o si è macchiato di colpe.
Infine la Corte dei Conti ha ripreso il giudizio, sospeso a suo tempo in attesa della sentenza penale, sulla responsabilità per danni a carcico di arbitri, designatori ed impiegati FIGC (Babini, Bergamo, De Santis, l’impiegata Figc Fazi, Lanese, Mazzei, Mazzini, Pairetto, Puglisi, Ambrosino, Bertini, Dattilo, Gabriele, Pieri, Racalbuto, Titomanlio) nella loro veste di pubblici ufficiali. Molti di questi sono stati peraltro assolti in primo grado a Napoli.
Presso la Corte dei Conti si è ripreso con la battaglia sulle pregiudiziali e sulle competenze del tribunale, con richieste dei difensori di rinviare il giudizio fino a sentenza definitiva in sede penale. Certamente sarebbe alquanto strano se la Corte dei Conti condannasse a risarcire i danni di immagine alla FIGC qualcuno che in seguito, in sede penale, uscisse definitivamente assolto da ogni addebito.
E la stessa Corte dei Conti, nella sentenza non definitiva di sospensione del giudizio (n. 872/2009) in attesa delle decisioni penali, si era espressa in modo molto chiaro. Scrive la Corte dei Conti a pag. 34:
“Non possono, invece, essere condivise le argomentazioni dell’attore, sostenute pure in udienza, secondo cui le condotte arbitrali dovrebbero esaminarsi prescindendo dall’esito della verifica delle direzioni delle singole gare, senza curarsi se sia stato o meno violato il principio del regolare svolgimento della competizione.”
Ed ancora a pag. 36:
“Il Giudice contabile deve, invece, verificare se dalla scorretta esecuzione della prestazione di gara dell’arbitro emerga la lesione del valore costituzionale dello sport inteso come uno dei modi in cui si svolge e si sviluppa la personalità dell’individuo.”
In buona sostanza la Corte dei Conti afferma che, perché ci possa essere il danno, dev'essere analizzata la condotta di gara degli arbitri e dev'essere provato che vi è stata l'alterazione della competizione sportiva. E, ad ulteriore chiarimento, la Corte aveva rinviato il giudizio in attesa del processo penale che doveva dimostrare l'esistenza dei reati di frode sportiva necessari per riconoscere l'esistenza del danno di immagine ed il conseguente risarcimento. Infine a pag. 40 si legge:
“In sostanza occorre che venga dimostrato il comportamento illecito dell’arbitro e/o dell’assistente nella competizione sportiva affidata alla sua regolamentazione e cioè che risulti accertato la commissione di atti fraudolenti e/o la partecipazione ad un disegno criminoso che abbia indotto gli odierni convenuti a falsare il risultato della gara che dovevano arbitrare o che dovevano concorrere a regolamentare.”
Quindi vi è danno solo se la giustizia ordinaria stabilisce che vi è stata frode in competizione sportiva commessa da qualcuno degli indagati. Dalle motivazioni della sentenza di Napoli sappiamo che non è stata falsata nessuna partita; anzi, nemmeno la fase preliminare del sorteggio arbitrale era alterata: le condanne di Napoli, giova ricordare, sono state comminate "sfruttando" le previsioni del reato di pericolo. Seguendo quindi il chiaro ragionamento della Corte dei Conti, non vi può essere stato nessun danno d'immagine non essendo stata alterata nessuna competizione sportiva. Questa dovrebbe essere l'ovvia conclusione, lette le motivazioni della sentenza di primo grado di Napoli e letto quanto scritto dalla stessa Corte dei Conti nella sentenza non definitiva e di rinvio n. 872/2009.
Il campionato è finito, ma Farsopoli non ancora
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