Nel precedente articolo dello Speciale sulle motivazioni della sentenza d’Appello del processo Calciopoli relative al capo O ("Speciale Calciopoli - reloaded: O, quando telefonare a Biscardi è reato") ci è toccato prendere atto che telefonare ai collaboratori di Biscardi e parlare di calcio e arbitri può essere rischioso e addirittura sfociare in una condanna penale. Situazione simile anche per il capo d’imputazione Z, quello relativo alla Roma-Juventus del ritorno all’olimpico dei “traditori” Capello, Emerson e Zebina in data 5 gennaio 2005, che vedeva imputato l’ex dirigente bianconero, Luciano Moggi, assieme all’ex arbitro della gara, Racalbuto, per il quale l’ipotesi di reato è prescritta nel corso del processo.
I giudici sembrano averci preso gusto a trasformare la caciara televisiva di Biscardi in una prova della colpevolezza dell’ex dirigente bianconero poiché anche per questo capo d’accusa la telefonata al noto presentatore compare nelle motivazioni di condanna (la 1446 del 7.3.05). Oltre alla telefonata allo showman la Corte cita anche i “molteplici contatti con le schede riservate fra il Moggi ed il Racalbuto (oltre n. 30 prima del sorteggio e prima della partita di cui uno la mattina dell’incontro“, pag. 171). Schede, è bene sempre ricordarlo, attribuite in modo discutibile dal maresciallo Di Laroni ("Il puzzle delle sim svizzere: 'Ognuno li legge come vuole" e "Prime crepe anche per il teorema delle sim svizzere").
Poi vengono buttate nella mischia alcune telefonate tra l’ex designatore degli arbitri, Paolo Bergamo, e la sua segretaria e tra la segretaria stessa e la moglie del quarto uomo della gara (3182, 3185 e 3197, tutte del 5.3.05), telefonate che raccontano di un “frenetico contattarsi fra il Bergamo e la Fazi prima, la stessa Fazi e la moglie di Gabriele dopo, che individua una “necessità” impellente di contattare l’arbitro anche durante la partita”, pag. 171.
Vi sono infine la 24242 del 2.3.05 tra Moggi e Giraudo in cui “è esplicito il riferimento della vicinanza del Racalbuto al Moggi”, pag. 171, e la 32727 del 6.3.05 tra Bergamo e l’allora presidente della Federcalcio Italiana, Carraro, che conferma ad avviso della Corte “l’avvenuta turbativa della stessa (gara, ndr)”, pag. 171. Turbativa che però non può andare nella direzione di favorire la squadra gestita dall’ex dirigente bianconero, dato che l’ex presidente della FIGC si raccomanda esplicitamente con il designatore “se c’è un dubbio, per carità, che il dubbio non sia a favore della Juventus“.
In sostanza la motivazione di condanna in appello ricalca in modo quasi perfetto quella del Tribunale presieduto dalla giudice Casoria. Per un approfondimento del contenuto e la contestualizzazione delle telefonate elencate vi rinviamo al nostro Speciale sulle motivazioni di primo grado ("Motivazioni della sentenza di 1°grado").
Per concludere, a nostro avviso questa partita non sarebbe mai potuta mancare in una sentenza di condanna, Tribunale, Appello o Cassazione che fosse. Un’assoluzione per questo capo d’imputazione sarebbe stata impensabile. Già soltanto per sensibilità e solidarietà nei confronti delle migliaia e migliaia di romanisti, per non turbare le loro certezze. Loro che in Calciopoli, e specialmente in questa partita, avevano finalmente trovato la prova provata dei complotti organizzati ad avvantaggiare la Juventus. Oltretutto a loro spese, come dimostra proprio il capo Z. Loro che quell’anno finirono appena appena dietro nel fotofinish, ottavi a 41 punti dalla squadra bianconera vincitrice del torneo. No, assolvere Luciano Moggi per questa gara avrebbe rappresentato un colpo tremendo, troppo duro da digerire per tutto l’ambiente romanista. Toglieteci tutto, ma non questa frode.