L'altro giorno mi sono imbattuto, durante una delle mie frequenti visite sul forum juventino j1897, in una serie di fotografie, scattate nel 1971, durante un a partita amichevole della Juventus a Malta.
Alla mia tenera età, mi sono emozionato come un bambino, e non riuscivo a staccarmi dal video, e scorrevo quelle immagini.
Un gruppo di sbarbati, con una magliettina stretta stretta a strisce verticali bianconere, giovani e consapevoli della loro forza.
Inutile dire che i ricordi, tonnellate di ricordi, mi hanno immediatamente sommerso. Inutile dire che si trattava per lo più di ricordi dolcissimi (anche perchè all'epoca ero MOLTO più giovane di adesso).
Ma di uno in particolare, di quei giovanotti in maglietta bianconera, vi vorrei parlare. Di quello che giovanotto non era, anzi, guardando bene le foto, è il più rotondetto. Sì, il biondo. Chi se lo ricorda? Helmut Haller, da Augsburg, Germania Federale.
Helmut significava per me, nato tifoso bianconero all'ombra di Sivori e, decisamente, orfano di Sivori, il ritorno dei piedi buoni, del giocatore capace di inventare e di farti sognare.
Allora non lo sapevo, ma in quella Juventus rifondata quasi da zero, stavano arrivando altri grandi talenti, che mi avrebbero fatto sognare per molti anni a venire: Causio, Bettega... ma non divaghiamo.
Di Haller ricordo la sfortunata finale mondiale del 1966 con la sua nazionale, vista attraverso un piccolo televisore in bianco e nero, appollaiato su una incerta struttura di legno e paglia, sulla spiaggia di Rimini, una folla di villeggianti quasi tutti a tifare Germania.
Allora Helmut era già una stella, leader di quel Bologna che riusciva a contendere alla strapotente (e stracaffeinata) Inter di HH gli scudetti di allora.
Noi?
Noi si era in uno di quei periodi nei quali l'Avvocato si prendeva una pausa, lasciando vincere qualcosa anche agli avversari.
Dopo il fantastico periodo di Boniperti-Sivori-Charles, era seguito un periodo di relativo anonimato, nessun grande acquisto, poche ambizioni.
Uno scudetto vinto con rabbia e dedizione nel 67, sorpassando all'ultima giornata l'Inter di HH (un'emozione ben superiore al 5 maggio, e mi scusino i tifosi più giovani), ma, in soldoni, si trattava di una squadra proletaria, fondata sull'economia e sul "movimiento" di HH2 (Heriberto Herrera).
Insomma, niente di eccitante per i tifosi juventini viziati.
Poi, puntuale come il ritorno della primavera, ecco il risveglio delle ambizioni bianconere. Alla vigilia della stagione 68/69 l'Avvocato decide di rifare una grande Juventus, ed ecco una sontuosa campagna acquisti (arrivarono quell'anno, tra gli altri, Pietro Anastasi ed il giovane Romeo Benetti), della quale Haller fu la ciliegina.
Ricordo un'amichevole estiva di lusso, col Milan (allora non c'era ancora il trofeo Berlusconi), tre a zero per noi con un gioco scintillante e travolgente, e i giornali già a pronosticare una Juventus dominatrice in campionato.
Non fu così ed Helmut, e i suoi tifosi, dovettero aspettare altri due anni, ed un'altra rifondazione, per riassaporare il gusto della vittoria.
Le foto che hanno stimolato i miei ricordi appartengono a questo secondo periodo, alla Juventus rifondata dal compianto Picchi, un manipolo di giovani campioni in erba e lui, il talentuoso tedesco, a fare da chioccia ad un gruppo che avrebbe proseguito, con altri innesti, a vincere tutto fino ai tempi di Platini.
Due scudetti in bacheca, una sfortunata (la prima di una lunga serie) finale di Coppa dei Campioni persa contro l'Ajax di Johann Cruyff, questo il palmares di Haller alla corte della Vecchia Signora, ma i numeri non rendono giustizia a quello che è stato uno dei più grandi centrocampisti europei di tutti i tempi.
Forse il suo periodo alla Juventus è stato troppo breve, ma Helmut Haller merita di essere ricordato assieme ai grandi interpreti del ruolo, da Sivori a Platini, a Zidane, a Del Piero.
Da ragazzino, giocando all'oratorio, ricordo che tutti cercavano di imitare la "finta alla Haller": passaggio veloce della palla da un piede all'altro, ondeggiando con il tronco, e poi via al terzino di turno, in velocità, sognando di diventare un giorno famosi e bravi come Helmut Haller, il tedesco dai piedi brasiliani.
Così lo raccontava il grande Vladimiro Caminiti:
«Rappresentava il “di più”, come lo era stato Sivori, e più ancora di Sivori, se ci è consentito, a tutto campo, almeno quando la musa lo ispirava. Quale fosse questa musa, non è dato dubitare; si è saputo che, smesso di giocare, Helmut il giocoso, Helmut il fanciullone, Helmut il biondone rubizzo portato a divertirsi sempre e dovunque, tedesco ma di più wagneriano, strapazzato dagli agi ma di più dalla sua Santippe personale, la possessiva magrissima sanissima amministratrice Waltraud, ha voltato pagina. Ha cioè smesso di fare sacrifici e per prima cosa si è separato dalla sua Santippe. Verosimilmente la moglie ne sopportava le divagazioni extraconiugali quando venivano giustificate dalle occasioni offerte dai continui viaggi sul cocuzzolo del mondo.
Una volta, Furino mi disse: “La squadra respirava ed acquistava armonia, è stato con lui il nostro periodo più bello anche dal punto di vista perfettamente tecnico. Ricordo quella partita di Milano (31 ottobre 1971, quarta di campionato) con Rocco disperato, costretto a cambiargli sempre marcatura, fare delle cose eccezionali a profitto di tutti, che è il modo vero ed assoluto di essere fuoriclasse”. Haller aveva nel gioco un portamento tecnico-atletico trascendentale, in grado di ispirare dalle fasce l’azione con traversoni passanti di rara euclidea precisione e di far tutto con due piedi divini, dribblando l’avversario nel senso dell’anticipo e della velocità di base, né più mai vedrò giocare di prima intenzione verticalizzando come lui.
Allenava la Juventus, nei giorni in cui vi approdava Haller, per dotare finalmente la squadra di classe pura, il paraguaiano Heriberto Herrera; come tipo umano, come persona, tutto l’opposto dell’“Helmuttone”, quindi un disperato compare tutto ossa, dalle lunghe mani nodose e dagli occhietti neri cavallini.
“Helmuttone” era grasso, troppo grasso. Le mani terribili di Heriberto lo torchiano e gli ridanno credibilità atletica. Però, non può bastare da solo, e Rabitti, subentrato a Carniglia, se ne accorge, bisogna riedificare la squadra ed innestarvi il nuovo Haller così che risulti determinante.
Ci vuol il beato bonario “Cesto” Vycpalek perché la Juventus cominci a vincere; lo ha detto Furino, l’ordito della manovra si realizza in modo perfetto soltanto quando Haller è ispirato. Non capita spesso; ne sa una più del diavolo; nelle trasferte di Coppa, quando gli salta il ticchio, lascia la comitiva e s’infila al tabarin; senza sapere che con Boniperti è proprio cambiato il mondo; e puntualmente la paga.
Nelle giornate di vena accarezzava il pallone sprigionando perfezione in ogni impatto ed ogni tocco, eseguire un disimpegno od un passaggio, laterale o frontale, indispensabile. Era tutto uno svolazzo senza esserlo in nulla. Si può dire che somigliasse all’acuto del tenore, quando tremano tutti i cristalli dei lampadari; all’assolo di Pavarotti».