Il solito menu? Macché. E’ qui la festa /3

napoli“Caro Cipe, mi parlavi con un filo di voce dell’Inter, proiettando il tuo pensiero in un futuro che andava oltre. Qualche mese fa ti chiedevo un po’ scherzando un po’ sul serio come mai non riuscivamo ad avere un arbitro amico, tanto da sentirci almeno una volta protetti, e tu, con uno sguardo fra il dolce e il severo, mi rispondesti che questa cosa non potevo chiedertela, non ne eri capace. Fantastico. Non ne era capace la tua grande dignità, non ne era capace la tua naturale onestà, la sportività intatta. Grazie ancora di aver onorato l’Inter, e con lei tutti noi”- lettera d’addio di Massimo Moratti a Giacinto Facchetti, 2006.
Caro Ciope, sono passati 4 anni. Il futuro è andato oltre la sua tomba per davvero. Il fil di voce? Sfido. Non era capace solo di sembrar suonato a te. Due volte a settimana, a Bergamo, si sentirà che cantava, eccome”.
L’avrei scritto quella sera stessa del 30. Per l'indomani mattina. E’ il mio primo pensiero. Nelle stanche del processo, si parla solo di quello. Del Cipe al telefono. Dietro le quinte di un ormai spremuto Auricchio, c’è un fantasma e la sua opera. Davanti, le rifiniture ad un eroe oramai sconsacrato.
Avv.to De Vita, difesa Bergamo. Chiede se le mille e mille e migliaia di telefonate di Bergamo siano state ascoltate tutte. Auricchio prima fa intendere di sì (“di tutte c’è un brogliaccio”). Poi fa capire di no (“c’è l’indicazione di ogni contatto telefonico”). Non tutte sono state ascoltate: di tutte c’è chi ha chiamato chi ma non di tutte c’è chi ha chiamato per cosa. Riscontri sulle partite ? Una sì, l’altra no. L’altra no, Reggina-Messina, è quella gara falsata dall’assistente Ambrosino promosso con giudizio finale 8,60. Nulla di strano. Talleyrand lo diceva: il crimine, il peggior crimine, si può fare solo con l’eccesso di zelo.
Avv.to Picca, difesa Della Valle. Dimissionario proprio in quelle ore in cui si sta difendendo. Quasi a chiudere il cerchio, volendo. Si sa come sono andate le cose per gli investigatori. C’era una volta il calcio italiano dominato dai soliti noti. Arriva il novista che vuol fare le scarpe (in tutti i sensi) a combriccole e vecchi merli. E allora si fa come ogni buona camorra si rispetti. Prima lo si taglieggia. Lo si mette in pericolo. Lo si sequestra. E poi gli si offre la liberazione: come riscatto, la sottomissione. Questo è quanto sarebbe successo nel 2004-2005 tra lo scalatore in Tod’s dalla schiena rimasta piegata e la Cupola che ha mandato la sua innocenza all’Inferno, andata e ritorno. L’avvocato della “Traviata” ha bei capelli bianchi e nessuna voglia di farne torcere al suo cliente, “la vittima”, più del necessario. La parte dei riscontri concreti sulle doglianze dei viola la lascia per ultimo. Perché è la meno importante. Sulla Fiorentina avranno investigato un mesetto scarso, un quarto d’Aprile metà Maggio, dalla telefonata Mencucci/Mazzini all’incontro segretissimo, alla carbonara magari più che carbonaro, di Della Valle con Bergamo nell’albergo solito del Della Valle. Incontro avvolto da mille misteri, che Auricchio manco l’autorizzazione a svelarli con quelle quattro cimici al tavolo che non si negano a nessuno s’era ricordato di chiedere. Incontro nel porto delle nebbie di una residenza scelta tra tutte quelle meno accessibili all’occhio umano, non sul pizzo di una montagna ma a venti minuti dal traffico in pieno centro. Meeting tra bambini in gita e seminari aziendali sulla barbabietola da zucchero o sul come mai gli inglesi al cinema vengono a villeggiare proprio in Toscana, decisivo per aiutare la squadra viola. Una settimana prima che Zauri della Lazio quasi mandasse la Fiore in serie B. Poca roba, reazioni scontate. Su una delle squadre meno belle del calcio italiano ma di una delle città più belle del mondo, l’accusa ha una teoria dei giochi (all’aspirante brigante Della Valle, brigante e mezzo della vecchia mala) maturata a posteriori in uno scarso mesetto di teorizzazioni e verifichine. Infatti. Di soldi e diritti tv, il cuore del possibile affare, il resto di niente. Quel poco di arrangiamento artigianale fatto o meglio tentato in proprio secondo le amate intercettazioni (Lotito che pare faccia intuire un proposto biscotto del Della Valle nello scontro diretto, guarda caso tra l’altro finito proprio in un pari, o il direttore Lucchesi, uno che la stampa a Napoli troppo spesso moralista per imitazione tirò fuori ultimamente per rimandare al mittente Luciano Moggi, tirato in ballo de relato per rodomontesche fanfaronate sul comprarsi tutte le gare per una salvezza dei viola, praticamente più da spaccamontagne che da corruttori prudenti) del tutto obliato. In favore degli amati War Games. La stessa madre di tutte le domande, come mai sapendo ora, data e luogo dell’incontro tra i Della Valle e i “rapitori” della Fiorentina non avete predisposto alcun tipo di intercettazione ambientale dentro il locale e ve ne siete rimasti lì, a guardare da dietro i vetri che chissà cosa avranno pensato di voi, partorisce una risposta piccola piccola da The Best of Auricchio. S’era a maggio, la chiusa indagine, oramai s’era quasi al mare. Insomma, stavano a guardare non il capello ma l’orologio. In attesa del rompete le righe (quelle bianconere) per andarsene in ferie. Stavan così. Praticamente in mutande. Ma tutto questo Picca lo sa, lo sa che Auricchio sui riscontri buca ancora. E allora il meglio lo dà all’inizio. Rubando il turno di parola alla Morescanti. Prima che il torpore dei non ricordo del Colonnello, cui serve sempre una seconda occasione, la seconda domanda, la prima per il non e la seconda per il non ricordo, rubi la scena a ciò che la difesa vuole farci capire. E che sarà mai questa cosa. Fa notare ad Auricchio come in fin dei conti questo pericolo Della Valle per la vecchia solfa del calcio italiano, movente per la persecuzione dei viola, fosse di molto relativo. Come tutta la grancassa mediatica e parolaia inevitabile per un nuovo arrivato non avesse causato traumi al di là di un pour parler come tanti. Si sa l’inizio dei Viola, dei Gazzoni, dello stesso e recente grand’ingresso del De Laurentiis. Tonitruanti muscolarismi à la Bartali, stucchevoli titoloni di Grande Riforma sul primitivo ed arretrato bestiame del calcio. Tutto da rifare ed ammaestrare. Poi. Due rigori non dati e cambi anche tu l’allenatore. Si sa come comincia la vita: si nasce eccitati incendiari e si finisce annoiati dimissionari. Non era un periglio il pivello oltre una epidermica e gossippara rottura di coglioni tra veterani, scocciati più che altro di dover cambiare il cerimoniale dei posti a tavola e dell’inevitabile fracasso per lo spostamento di orari, piatti del giorno, (neo) dischi rotti e coltelli spuntati sull’eterno e immutato menu. Ad esempio. Senza scomodare le intercettazioni di Moggi nelle quali proprio il Gran Capo del Chi non si ferma è perduto parlava con tranquilla indifferenza dello stallo istituzionale causato dal “movimiento” del Della Valle e cpn neutra e soave, rassegnata, indulgenza senza alcun tremendismo o Mamma li viola del possibile commissariamento. Senza fare riscontri con le telefonate. Proprio il tema clou delle designazioni degli arbitri, proprio l’arma di ogni possibile delitto di ogni degna Reazione avrebbe visto trionfare, con il designatore unico per l’anno dopo, il programma dei sovversivi. Un programma che prevedeva, sì, l’abolizione dei due designatori. Che, evidentemente, tanto vasto e pericoloso come l’abolizione dei cretini non doveva poi essere.

 

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