Gianfelice, perché hai dubitato di tuo padre?

facchetti gianfeliceLe testimonianze rese a Napoli da Gianfelice Facchetti e Nucini le analizzeremo dettagliatamente, perché è giusto dedicare massima attenzione a deposizioni che erano state presentate come "rilevantissime" e poi si sono rivelate in contrasto tra loro ed hanno fatto segnare due punti per le difese, come sono stati costretti a dire e scrivere persino i simpatizzanti della Procura.
Ma non possiamo iniziare ad analizzare la testimonianza di Gianfelice Facchetti senza considerare ed evidenziare che sulla stessa grava un dubbio grande quanto il Pirellone, dubbio che saremmo pronti a rimuovere qualora Gianfelice ci fornisse una spiegazione logica.
Avevamo anticipato qualcosa il giorno prima dell'udienza ma, dopo aver ascoltato la deposizione, non vi nascondiamo che, se per un solo minuto avessimo potuto indossare la toga, la domanda l'avremmo posta direttamente a Gianfelice: 'Perché ha dubitato di Suo padre man mano che uscivano le telefonate?'
Sì, perché Gianfelice ha dubitato, come ha dichiarato a Silvia Nucini che lo ha intervistato per Vanity Fair del 23 febbraio 2011 (vedi le due pagine), pochi giorni prima della sua testimonianza.

Alla domanda "Ha mai avuto paura di trovare, scavando nelle carte di suo padre, una qualche verità che non Le sarebbe piaciuta?", Gianfelice ha risposto:
"C’è stato un momento in cui ho dubitato, lo devo ammettere. Io conoscevo mio padre, ma – mi sono detto – io non ero lui, per cui ad un certo punto, il punto degli attacchi a orologeria, quando avevo quasi paura ad uscire di casa, il dubbio mi ha attraversato la testa. Ma proprio in quel momento, per una sorta di destino magico – una di quelle cose a cui non do un nome, ma che mi prendo e tengo li –, ho trovato nelle carte di mio padre le risposte ai miei dubbi: appunti che aveva preso e che spiegavano tutto. Ho provato sollievo e una specie di vergogna per aver dubitato".

Ora azioniamo la logica. Gianfelice come testimone a Napoli ha detto che lui quanto ha riferito, prima presentandosi spontaneamente ai pm e poi in aula, non l'ha appreso dagli appunti ritrovati, ma dalla voce dal padre. Ricordiamo solo alcune delle sue risposte alle domande dell'avvocato Prioreschi:

Facchetti: Sono appunti e comunque, voglio dire, l’abitudine era quella di prendere nota, ecco, di alcune cose. Le cose di cui io ho fatto prima menzione sono episodi di cui si parlò e di questo ne ho fatto testimonianza.
Facchetti: Che volevo parlare per rendere testimonianza di una serie di racconti che mi aveva fatto mio padre e, nella fattispecie, avendo trovato queste carte di mio padre, volevo presentarle per vedere se potessero avere un’utilità ai fini delle indagini processuali.
Facchetti: Io ho detto anche delle cose che non sono trascritte in quei fogli. Ci sono degli altri episodi che ricordavo e quindi alcune cose sono… esulano da quello che c’è scritto.

Se tutte le cose riferite nella sua testimonianza le aveva apprese dalla voce del padre, perché ad un certo punto il dubbio gli ha attraversato la testa?

Poi Gianfelice dice che per un magico segno del destino ritrova gli appunti del padre che, come una potentissima gomma, cancellano i dubbi. Quando dice che la risposta ai dubbi la trova nelle carte del padre, intende in quelle carte che ha portato ai pm? Secondo logica sembrerebbe di sì, quindi le carte "rivelatrici" delle quali parla a Silvia Nucini dovrebbero ridursi a quell'unico foglio di appunti sul sistema Moggi, perché gli altri fogli, l'ha detto lui in aula, "erano riflessioni su FC Internazionale" e non possiamo pensare che i dubbi sorti in Gianfelice fossero sull'organizzazione del club nerazzurro.
Ed allora fatichiamo a capire in che modo quel foglio di appunti sulle cose riferite da Nucini al padre, e che lui dice in aula di aver saputo direttamente anche dalla voce dal padre, possa aver dissolto i suoi dubbi.

La risposta di Gianfelice alla domanda di Silvia Nucini termina con "appunti che aveva preso e che spiegavano tutto". Allora dovrebbero essere proprio quegli appunti. Ma perché prova sollievo, come se quelle carte rivelassero cose a lui ignote?
E perché dice che quegli appunti gli "spiegavano tutto" se, attenendoci alle risposte date al processo, quelle spiegazioni lui le conosceva già?

In quegli appunti sono riportate le confidenze di Nucini, ma Gianfelice dice in aula che il padre gliele aveva riferite a voce, che gli aveva anche riferito che Nucini aveva fatto parte della cupola, quindi più di quanto aveva scritto, poiché su quel foglio ritrovato non c'è scritto né che Nucini avesse fatto parte della cupola né che fosse un "cavallo di Troia", ragione per la quale Gianfelice e Nucini possono ancora sostenere tesi diametralmente opposte.
Inoltre, in quelle carte portate ai pm, Gianfelice non ha trovato annotato nulla relativamente alle telefonate con i designatori, con Mazzei, con De Santis, né la spiegazione del perché fossero state fatte. Quindi, qual è la spiegazione ai dubbi che Gianfelice ha avuto da quelle carte e che già non conoscesse?

Se Gianfelice ha potuto sciogliere i suoi dubbi grazie al foglietto di appunti ritrovato, noi non possiamo dire altrettanto per quello sorto dopo la sua risposta a Vanity Fair, e non è dubbio da poco: attiene infatti all'attendibilità delle cose dette da un testimone dell'accusa sugli imputati e su un altro testimone dell'accusa, Nucini, cui Gianfelice lascia tranquillamente recitare, per anni, il ruolo di vittima del sistema e di vessato dai designatori, dal momento che lui dice di aver saputo dal padre, quindi almeno sei anni prima, che Nucini era stato organico alla cupola e che "Nucini veniva tutelato non facendo vedere filmati che avrebbero potuto danneggiarlo".
Gianfelice afferma anche di aver appreso dal padre che Nucini aveva arbitrato il Messina aiutandolo, che una volta gli era stato chiesto di "dare addosso alla Fiorentina": ma per sei anni non sente l'impulso di vedere se "questo patrimonio di conoscenze ereditato dal padre", come definito da Narducci, possa essere utile alle indagini dei pm e della FIGC. C'è voluto l'avvocato Trofino con quel "Metti Collina" per generare l'impulso che porta Gianfelice ad andare dai pm di Napoli perché "avendo trovato queste carte di mio padre, volevo presentarle per vedere se potessero avere un’utilità ai fini delle indagini processuali".
Gianfelice dice di non essere andato prima perché senza il supporto di quel foglio di appunti del padre temeva di non essere preso sul serio: "Se non avessi avuto uno straccio di carta in mano, mi avrebbero riso in faccia... uno avrebbe detto: 'Questa frase è inattendibile'". Evidentemente non aveva seguito bene il processo, non sapeva che, ad iniziare dal testimone Dal Cin, erano state tenute in gran considerazione e verbalizzate anche le sensazioni e le impressioni. Eppure avrebbe dovuto saperlo, non fosse altro perché il nome di suo padre, che giustamente difende con amor filiale, era stato tirato nel processo da Gazzoni Frascara, prima che da altri, per la storia delle fidejussioni della Reggina, a partire dal verbale del maggio 2006. Dall'udienza del 26 maggio 2009 (Audio su RadioRadicale):

Avv. Prioreschi: Lei è stato sentito dal pubblico ministero il 13 maggio 2006... La Reggina aveva o non aveva presentato una fidejussione inidonea prestata dalla Sanremo Assicurazioni? Chi era l'agente che aveva fatto questa operazione della Sanremo?
Gazzoni Frascara: Si dice... Si dice, si dice... Si dice che fosse stato Facchetti. Sì. Si dice. Io non ho la prova però.
Avv. Prioreschi: No, non è si dice, adesso dice. Sto facendo una contestazione: 13 maggio 2006, "E’ noto che la fidejussione risultata inidonea inizialmente prestata in favore della Reggina è della Sanremo di Genova. Io ho più volte rilasciato dichiarazioni concernenti questa operazione e oggi sono in grado di indicare il nome di Giacinto Facchetti probabile agente assicurativo intermediario della suddetta polizza".
Gazzoni Frascara: Probabile, si dice...
Presidente Casoria: Questa probabilità da cosa derivava?
Gazzoni Frascara: Dal bocca a bocca che gira in questo grande mondo del calcio.

Questo per informare anche il direttore della Gazzetta Andrea Monti su chi abbia tirato i primi graffi, visto che proprio lui ha scritto che la strategia di Moggi "ha trascinato l'Inter di Moratti e altre società nel vortice del processo pubblico. Ha graffiato la memoria di Giacinto Facchetti, uno dei galantuomini dello sport italiano".

Se Gianfelice vorrà chiarire perché abbia dubitato, pur sapendo le cose che gli aveva riferito il padre, e come quel foglio abbia cancellato i dubbi, saremo felici di pubblicare la sua spiegazione, come siamo sempre disponibili a pubblicare quegli appunti non acquisiti (sono di sua proprietà, può pubblicarli, ndr).

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