BarzagliBonucciChiellini - Finché Conte non vi separi (2/2)

RubricaCampionario - Carico e scarico di calciatori che malgrado tutto non dimenticheremo mai

Grand e gross pusé ciula che baloss". Così, dalle mie parti, sono stati accolti gli esordi nel calcio che conta dei nostri tre difensori. L'espressione designa un ragazzone dotato di fisico imponente ma sprovvisto della necessaria cattiveria per incutere timore nei confronti degli umani.
I nostri tre non facevano paura. Ricordate l'ingresso in campo di Barzagli a Kaiserslautern nel match mondiale contro l'Australia, mentre si avvicinava a Cannavaro per ricevere istruzioni con l'espressione del turista sbattuto per errore in un carcere di massima sicurezza sudamericano? Quante volte, nel suo primo anno juventino, avete visto Bonucci mettere su quella sua tipica espressione corrucciata, come in timorosa attesa dello schiaffo del soldato, dopo aver causato un goal? Non vi si incrociavano gli occhi quando il buon Chiello, allora un volenteroso terzino che ricordava Briegel, ma per l'appunto solo fisicamente, incrociava le sue gambone e cadeva all'indietro, disorientato dalle finte di alette evanescenti tipo Pasquale Foggia? Se non ve lo ricordate, è solo perché negli ultimi due anni i nostri tre hanno fatto di tutto per farvelo dimenticare. Oggi, infatti, sono spaventosi. Quanto meno per un comune attaccante di Serie A.

Gli occhi pesti di Barzagli non sono più quelli del pugile suonato, ma di quello che facevi meglio a non svegliare. Intendiamoci, prima della Juve, la sua è stata una carriera più che dignitosa: un europeo under 21, una stagione da rivelazione al Chievo, alla quale sono seguite buone prestazioni con il Palermo, due presenze importanti nel Mondiale vinto in Germania, uno scudetto con il Wolfsburg, che i sassoni sostengono valerne cinque col Bayern. I suoi compagni lì dietro? Bonera, D'Anna, Biava, Terlizzi, Cannavaro, Ricardo Costa.
Eppure, quando accostato alla Juventus negli anni passati, veniva dismesso da pubblico e critica con fastidio, come un giocatore da squadra di provincia. Dopo tre anni in Germania, viene acquistato da una Juve disperata per pochi spiccioli, accolto con la scarsa fiducia che viene riservata alla merce comprata in saldo. Tra vent'anni, ne sono sicuro, nel rinnovato gergo del calciomercato ci si riferirà a un ottimo affare a basso costo come di un affare à la Barzagli.
Per la mia esperienza del mondo, gli uomini che hanno dovuto aspettare molto per vedere riconosciuto il loro talento si dividono in due categorie: quelli il cui astio maturato negli anni bui li ha corrosi a tal punto da non riuscire a provare altro che un incessante desiderio di rivincita verso il mondo e ad agognare quindi che a chiunque, senza sconti, sia riservato lo stesso polveroso percorso, e quelli che, invece, maturano una smisurata solidarietà per ogni caso umano che possa anche lontanamente ricordar loro la medesima esperienza.

In questo secondo caso, potrebbe essere l'amico ideale di Leonardo Bonucci. Il viterbese è partito da lassù in alto, da Appiano Gentile. Con l'Inter vince un campionato Primavera e, seppur con una sola presenza, si laurea a soli 19 anni campione d'Italia nella stagione della leggendaria rimonta estiva dei nerazzurri. Qualche prestito in Serie B, fino a che non incontra mister Ventura che lo porta con sé a Bari, in Serie A. Stagione strepitosa, in cui i pugliesi centrano il record di punti nella massima serie, e la giovanissima coppia di difensori centrali Bonucci-Ranocchia si fa notare, strappando paragoni con il meglio della tradizione italiana. L'Inter, fresca di tripletta, sceglie però di puntare sul suo compagno. Uno smacco al suo orgoglio. Poco male perché la Juve, che, seppur reduce da un settimo posto, è sempre la Juve, sgancia quindici milioni per portarlo a Torino. A soli 23 anni, la gloria non si è fatta attendere.
Le cose non vanno bene. Bonucci non piace a nessuno, le critiche sono unanimi: svagato e leggero in marcatura, presuntuoso nella sua ricerca di soluzioni stilistiche ma pericolose, pretenzioso nei lanci che carica con troppa frequenza. Una stagione disastrosa per tutta la squadra e lui è uno dei capri espiatori: in estate si tifa per un suo trasferimento a San Pietroburgo. Bonucci, invece, rimane, seppur sulle prime destinato a far panchina nella nuova Juve di Conte. Non andrà così. Partita dopo partita, si scopre un altro giocatore: umile, misurato, essenziale. Un giocatore da scudetto e da Nazionale. Al momento dei ringraziamenti, non ha dubbi. Se è il giocatore che è, lo deve al suo motivatore Alberto: "Tutti commettiamo errori, l'importante è cancellarli e ripartire. Chi non conosce certe situazioni può sorridere o prendermi in giro ma consiglierei a tutti di lavorare con Alberto, a me ha dato tanto. Stavo perdendo autostima, fiducia e la mia carriera era in pericolo. Con Alberto ho ritrovato serenità. Sono andato a fondo ad alcune situazioni che mi portavo dentro da tempo e creavano dei problemi."
Sarebbe ora precipitoso dedurre che questa nuova coscienza di sé abbia qualcosa a che vedere col singolare incidente che gli capitò qualche mese fa, quando all'uscita di una concessionaria di auto, affrontò a mani nude un rapinatore armato, costringendolo alla fuga a suon di cazzotti. Tuttavia, anche senza presumere di avere ora davanti il maestro Miyagi, sappiamo di un giocatore migliore, che si reputa un uomo migliore, e stabilisce tra le due proposizioni un rapporto di causa-effetto. Il semplice pensiero che si possa davvero migliorare non è affatto scontato, ma anzi assai meno comune di quanto si creda.

In genere, questo processo consiste nella sottrazione di pensieri negativi. Adeguandomi, cercherò di rimuovere il fatto che la coppia Chiellini-Bonucci abbia dato dubbia prova di intesa, nel suo primo anno agli ordini di Delneri, come un precedente indicativo di qualcosa. Bonucci è un uomo nuovo e anche il Chiello sa bene come ci si rimette in piedi. Precipitato in serie B proprio quando la sua carriera stava sbocciando, abbandona la carriera da terzino sinistro per assumere il ruolo di centrale che interpreta con ottimo successo per un paio d'anni, almeno fino, diciamo, all'espulsione da allocco rimediata a Stamford Bridge negli ottavi di Champions League. Il suo limite pare essere l'eccessiva foga: potenza muscolare taurina, accompagnata dalla proverbiale cecità tattica. Giorgione, in realtà, è tutto fuorché un ottuso torello: ragazzo posato e intelligente, brillante studente universitario, fuori dal campo si fa riconoscere per un'inusuale acutezza nelle analisi e moderazione nei giudizi. Non parla come mangia. All'incidente di Londra seguono due anni disastrosi in cui a volte tiene in piedi la barca da solo, altre affonda miseramente insieme agli altri. Il pubblico tende a ricordarsi più di queste volte. Se i ritmi della partita sono alti, Chiello sembra un ponghista cinese: ribatte colpo su colpo, è costantemente in anticipo, domina l'avversario. Appena la velocità cala a livelli da film francese, beh... sembra di vedere Sylvester Stallone recitare in una pellicola intimista.
Non è più così. Oggi Chiellini ha sviluppato una tale intelligenza tattica, da potersi applicare in un ruolo nuovo che richiede grandi capacità di concentrazione e un continuo sostegno alla costruzione del gioco. La sua assenza invernale (a proposito: per definire la capacità di rialzarsi, Chiello ha subito molti infortuni) è stata pesantissima: quel lavoro lì lo sanno fare lui, Barzagli e pochi altri al mondo.

Settembre 2011: la campagna acquisti di Marotta è considerata da pubblico e critica fallimentare per il mancato acquisto di un difensore centrale. E ancora, nel 2013, c'è chi lo sostiene.
"Ma come?" dici "Oggi, hai una delle migliori difese del pianeta!"
Ti risponde scocciato: "Che c'entra? Sembravano scarsi, quindi dovevi comprarne degli altri."
Non funziona così per i difensori. Devi dar loro tempo, perché possano diventare amici veri. Non è una cosa che succede in un giorno, lo sapete. Per questo si dice che una difesa funziona bene quando - Eupalla mi fulmini per la metafora automobilistica - è rodata.

E' una storia sull'amicizia, quindi dovevate aspettarvi il mellifluo happy ending. Fin qui, come promesso, abbiamo studiato le loro biografie su Wikipedia e preteso di capire tutto di loro. La storia che ne risulta è che Barzaglione ha molto penato per il riconoscimento dei propri meriti ed è quindi naturalmente solidale con chi come Bonucci stava attraversando un momento negativo con il forte desiderio di migliorarsi. Il Chiello, un po' Garrone un po' Ginone Bartali, è l'amico generoso e anima nobile, disposto ad accollarsi il lavoro duro e le colpe di tutti. Tutte e tre le coppie funzionano.
Oppure invece possiamo abbracciare completamente l'epistemologia della sconfitta, sopra definita. Capita infatti che un animo pravo come Mandzukic abbia la meglio su tutti e tre i nostri amici, punendo ragione e sentimento. Capita che lo faccia due volte in fila, dimostrando anche che dei loro errori non hanno capito nulla. Ecco un possibile finale, altro che libro Cuore. L'amicizia è una somma di virtù, ma anche di debolezze, a volte. L'indulgenza sostituisce lo spirito critico. Prevale la giustificazione.
Prima che vada a finire così, bisogna trovare quel famoso uomo che guidi la difesa. Il libero. Colui che richiama al dovere, che sprona al miglioramento, che non perdona facilmente l'errore. Ecco allora che le braccia alzate per segnalare il fuorigioco, quelle viste a Monaco, diventano vergognose ammissioni di colpa. La differenza in difesa, da sempre, la fa l'allenatore, senza che questi debba essere un difensivista.
Insomma, funziona così: prendi due buoni amici e mandali a scuola da un maestro inflessibile. Ecco la difesa.


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