Quando il derby voleva dire Juve-Toro

platiniJuventus-Novara è una partita che in serie A manca da 56 anni. L’ultima volta che gli azzurri vennero a Torino a giocare contro la Vecchia Signora era infatti il 22 ottobre del 1955 e la gara terminò 2-2. Ad oltre 50 anni di distanza viene così a riproporsi una sfida che avrà un sapore particolare soprattutto per gli uomini di Tesser, visto che ora sono loro, insieme ai bianconeri, a rappresentare il Piemonte nella massima serie. Un derby dunque? Non ce ne vogliano i novaresi, ma l’incontro di domenica non sembra proprio averne le caratteristiche: le due squadre infatti non rappresentano la stessa città e tantomeno sono caratterizzate da una accesa rivalità agonistica, considerando che, come già detto, il Novara manca in serie A da tantissimi anni. Tutt'altra cosa è invece la stracittadina con il Torino, che il calendario non prevede ormai da tre stagioni, a causa della prolungata permanenza in B dei granata: match che rimanda alla memoria sfide combattute fino al 90’, con risvolti spesso imprevisti e aneddoti particolari, sfide entrate dunque di diritto nella storia del calcio italiano. I derbies a volte, a causa dell’alta posta in palio, il cosiddetto primato cittadino, nonché della grande attesa che li precede, sono spesso sfide che non si contraddistinguono per il bel gioco: le squadre sono consapevoli del fatto che al minimo errore l’avversario può punirle e l’andamento dell’incontro si farebbe così ancora più difficoltoso; sono perciò improntate ad una condotta di gara al limite del regolamento unita ad un eccessivo tatticismo, che diventa il vero padrone del campo di gioco; l’unico modo per accendere l’entusiasmo dei tifosi può essere allora la giocata di un campione, un fuoriclasse dal talento immenso, se una delle due formazioni può permettersi il lusso di schierarlo in campo.

Non fece eccezione il derby della Mole del 26 febbraio 1984, match valevole per la sesta giornata di ritorno. Il vero spauracchio in casa Toro era Michel Platini: il francese aveva già segnato due gol contro i granata nella stagione precedente ed era indicato dagli avversari come il pericolo numero uno. Le due formazioni torinesi arrivarono alla sfida distanziate di quattro punti in classifica, con la Juventus prima e con il Torino pronto a giocarsi le residue chances di rimonta scudetto. “La differenza tra me e Platini è che lui risolve le partite, io no” furono le parole di Dossena a chi lo paragonava, un po’ forzatamente, a Le Roi, vista la tecnica raffinata e le geniali intuizioni di gioco del leader granata. “E’ superfluo dire che domenica c’impegneremo al massimo - dichiarò invece Hernandez, attaccante argentino dei granata - Speriamo in un buon risultato. Platini permettendo". E fu proprio Platini a non permettere alla squadra di Bersellini di uscire dal Comunale con i due punti in tasca. Il numero 10 bianconero, infatti, guidò la Juve verso il successo finale prima con un gran colpo di testa al 66’, su perfetto cross di Rossi dopo una splendida progressione di Pablito sulla sinistra, poi con una punizione magistrale al 76’, trovando il “buco” propizio tra Galbiati e il portiere Terraneo sulla linea di porta. Il primo tempo dell’incontro aveva visto il Torino ben attento in difesa, pronto a chiudere tutti gli spazi, salvo poi colpire in contropiede, fino al punto che spesso le maglie granata si vedevano solo nella loro metà campo. La Juve provò ripetutamente a portarsi in vantaggio, ma trovò un Terraneo in stato di grazia: al 15’ respinse un tiro di Platini, alla mezz’ora circa respinse di piede un tiro di Boniek e sull’angolo successivo negò anche a Tardelli la gioia del gol. Platini rimaneva in cabina di regia, facile preda dei marcatori avversari che non esitavano a rifilare qualche calcione, ma anche pronto con i suoi lanci a pescare i compagni, pur se il compito appariva arduo, vista la strenua difesa del Toro. Dossena, al 38', vittima di un duro scontro con Brio, riportò una botta che limitò parecchio l'apporto del numero 10 granata; nonostante ciò il Toro cominciò ad uscire più frequentemente dalla sua metà campo fino a trovare, al 55’, il gol con Selvaggi, con una gran botta all’angolino alla destra di Tacconi, dopo una mezza giravolta in area. Gli uomini di Trapattoni ebbero una reazione secca e decisa che fece saltare di colpo gli equilibri difensivi del Torino, con Boniek che colpì il palo. A quel punto della gara Platini si spostò qualche metro più avanti dopo aver compiuto, per quasi un’ora, un difficile lavoro di raccordo tra centrocampo e attacco, e diventò così il match-winner con due colpi da maestro: eccezionale il tempismo con cui anticipò Danova sullo stacco di testa, grande intelligenza (e abilità tecnica) sulla punizione. Un "tiro diabolico" fu la definizione di Galbiati, che sulla linea di porta non riuscì ad evitare che la palla entrasse in rete: "Eravamo senza dubbio preparati che lui (Platini, ndr) avrebbe tirato i calci di punizione. Quando ha tirato e ho visto il pallone che veniva verso la porta ho pensato che non ci fossero troppi problemi. Invece la palla, con un effetto diabolico, è venuta giù all'improvviso ed entrò in rete".
Fu una vittoria che consentì alla Juve di portarsi a +5 sulla Roma, fermata sul 2-2 dalla Lazio nel derby capitolino, e a +6 sui cugini, e di andare così in fuga solitaria verso la conquista del ventunesimo scudetto; e Platini potè appaiare Zico in vetta alla classifica marcatori, vinta al termine della stagione dal francese.