Quando a Bergamo arrivò il ventiquattresimo scudetto

champions“In questa vittoria c’è la mano di tutti, altrimenti non saremmo mai riusciti ad arrivare tanto in alto”. Fu questa la risposta di Lippi a chi, nel post-gara di Atalanta-Juventus del 23 maggio 1997, lo indicava come artefice principale della conquista del 24° scudetto nella storia della Juventus. Dichiarazioni in linea con il personaggio, mai propenso ad accaparrarsi tutti gli elogi, anche se una bella fetta di quello scudetto era proprio da attribuire alla bravura del tecnico viareggino, capace di costruire una squadra tatticamente perfetta, con un gioco brillante e soprattutto vincente, dopo che si era visto praticamente smontare da Moggi, Giraudo e Bettega la “macchina” che sotto il cielo stellato dell’Olimpico aveva vinto nell’anno precedente la Champions League. Erano partiti Vierchowod, Paulo Sousa, Vialli e Ravanelli, colonne portanti della Juve Campione d’Europa ed erano arrivati giovani in cerca di successo come Montero, Zidane Vieri, Amoruso e un grande campione come Alen Boksic (senza dimenticare Iuliano che con il gol del pareggio a Bergamo avrebbe messo il sigillo su quello scudetto). Mosse di mercato che apparivano azzardate si rivelarono alla fine vincenti e anche i critici più feroci furono costretti ad ammetterlo: era nata una strategia innovativa nel calcio, che non aveva precedenti e denominatori comuni col calcio visto fino a quei tempi; una gestione manageriale straordinaria con un occhio al bilancio e l'altro ai risultati sportivi, sempre di altissimo livello. Non solo i giocatori sopraccitati erano andati via, nel giro di due stagioni erano partiti anche Roberto e Dino Baggio, Moeller e Kohler: insomma la squadra aveva cambiato letteralmente i suoi connotati, pur non perdendo quel Dna vincente che il campo, in maniera spontanea e senza nemmeno accorgersene, le aveva regalato partita dopo partita, senza distinzione tra partite in casa o in trasferta, in Italia o in Europa.
La partita di Bergamo rappresentava, per Lippi e i suoi, il secondo “match point” per la conquista dello scudetto, dopo che avevano fallito il primo nella settimana precedente a Torino contro il Parma, diretta concorrente. Lo scontro era terminato 1-1 e a due giornate dal termine erano sei i punti che separavano bianconeri e gialloblu; così anche un solo pareggio in due incontri era più che sufficiente per dare ai bianconeri la certezza matematica del titolo; dall’altra parte invece c’era un’Atalanta anch’essa alla ricerca di un punto per ottenere la salvezza.

Le due squadre scesero in campo di venerdì, vista l’imminente finale di Champions League, che condizionò non poco le scelte iniziali di Lippi. Oltre agli squalificati Porrini e Montero, infatti, Lippi decise di risparmiare anche Torricelli, Di Livio, Deschamps e Boksic in vista dello scontro di Monaco di Baviera contro i tedeschi del Borussia Dortmund.
La Juve partì subito forte per evitare complicazioni e cercare di portare velocemente a casa il bottino pieno: azione tutta di prima all’8’ con Dimas, Jugovic, Vieri e Zidane che, pronto ad inserirsi in area, esitò a concludere a rete e si fece recuperare dalla difesa bergamasca. Una triangolazione tra il francese e Vieri, al 14', portò alla conclusione quest’ultimo, dal limite dell’area; ma il suo tiro finì alto. Al 18’ fu Jugovic a provare il destro e la palla terminò ancora fuori. Proprio nel miglior momento per la Juve fu l’Atalanta a trovare il gol con Pippo Inzaghi che trafisse Peruzzi con un diagonale di sinistro, su assist di Gallo a scavalcare Iuliano e Ferrara. La reazione della Juve fu veemente, ma l’estremo nerazzurro Pinato si oppose in più di un’occasione ai bianconeri; su due sventole da fuori di Zidane e Vieri e poi compiendo un vero e proprio miracolo al 44’ancora su Vieri che andava a concludere uno splendido fraseggio Jugovic-Del Piero. Nella ripresa ancora Pinato protagonista sull’ennesimo tiro da lontano, questa volta di Tacchinardi; ma al 54’ arrivò finalmente il gol della liberazione: angolo conquistato da Vieri, battuto da Del Piero, colpo di testa di Ferrara sventato ancora da Pinato, sulla cui respinta si fiondava Iuliano come un vero bomber, nonostante fosse un giovane stopper, realizzando il gol del pari, o meglio, il gol dello scudetto. Ci provò, da buon granata, Lentini a rovinare la festa alla Juve, ma Peruzzi si oppose egregiamente all’ex bambino prodigio di Carmagnola. Il resto dell’incontro fu caratterizzato da una girandola di cambi che non variò però gli equilibri del match fino all’86' quando, ad un fischio dell’arbitro Bettin, diversi tifosi, assiepatisi a bordo campo, si buttarono dentro a testa bassa, senza distinzione di colori; che fosse salvezza o scudetto, c’era pur sempre qualcosa da festeggiare. Dopo qualche minuto di tensione però, con le squadre già negli spogliatoi, i giocatori tornarono in campo per l’ultimo atto formale, al termine del quale si scatenò la festa, quella vera.
Raggiante il Dottore Umberto Agnelli, che tanto si era impegnato per il riassetto societario della Vecchia Signora, fattore indispensabile per ottenere nuovi successi, in un calcio tanto diverso da quello che aveva dato a suo fratello Gianni e al fido Boniperti tanti successi e soddisfazioni: “E’ stata un’annata straordinaria, con vittorie indimenticabili: dalla Coppa Intercontinentale alla Supercoppa Europea. La squadra ha meritato in pieno questo successo, l’ideale per celebrare cento anni di vita della Juventus". E a chi gli faceva notare il possibile malumore dei tifosi per qualche probabile ulteriore partenza illustre rispose: “I tifosi vogliono soltanto vincere, e questa dirigenza non ha di certo fatto mancare i successi. Anche se dispiace cedere qualcuno, alla fine conta solo il risultato".