Genoa-Juve 95': un poker quasi tricolore

ravanelliUna “pareggite acuta” sembra aver colto la Juventus di Conte nelle ultime apparizioni: ben cinque i pareggi, negli ultimi 6 incontri, un numero maggiore al totale complessivo (quattro) di quelli raccolti nell’intera stagione ’94-’95. In quell’annata la squadra di Lippi (di cui Conte era un punto fermo a centrocampo) concesse sette vittorie agli avversari nel corso della stagione, interpretando nel migliore dei modi la nuova regola dei tre punti a vittoria. Per certi versi le due squadre sono state concepite in maniera non del tutto dissimile: 4-3-3 come modulo di base, capacità di imporre il proprio gioco in casa, in trasferta e di fronte a qualunque avversario, grinta, determinazione, la presenza di un regista a dettare le geometrie (Paulo Sousa allora, Pirlo oggi), il dinamismo dei centrocampisti. La grande differenza che può balzare agli occhi sta sicuramente nel leggere le statistiche degli attaccanti: Vialli e Ravanelli andarono entrambi in doppia cifra alla voce dei gol fatti, mentre oggi, eccezion fatta per Matri, non si trova un giocatore del reparto avanzato che abbia dato un contributo determinante in tal senso.

Come detto la Juventus versione ’94-’95 sembrava non curarsi troppo dei pareggi; tant’è che, alla vigilia della sfida di Marassi col Genoa 13 maggio 1995, gli uomini di Lippi venivano da tre vittorie esterne (Milan, Reggiana e Fiorentina) e altrettante sconfitte tra le mura amiche del “Delle Alpi” (Torino, Padova e Lazio). Dall’altra parte invece, ad attendere la Signora c’era un Genoa col coltello tra i denti, bisognoso di punti fondamentali per proseguire una difficile rincorsa alla salvezza, in uno stadio come Marassi, in grado di trascinare la squadra. I bianconeri però erano troppo vogliosi di riscatto, dopo la sconfitta della settimana precedente contro la Lazio, per lasciarsi condizionare dall’ambiente ostile o dalla possibilità di impostare la gara in maniera più prudente.

Pronti via, al 1’ Ferrara colse il palo con un colpo di testa. La Juve continuò ad attaccare a testa bassa, senza però mostrare la necessaria lucidità: Di Livio arrivava puntualmente sul fondo per poi sbagliare, con la stessa puntualità, i cross, Jarni non trovava compagni pronti in area a raccogliere i suoi appoggi, Baggio sembrava una voce fuori dal coro. Il Genoa, dal canto suo, non dava mai la sensazione di poter effettivamente trovare il colpaccio, con i centrocampisti alle spalle dell’unica punta Skuhravy affannati e preoccupati soprattutto dal pensiero di dover reggere l’onda d’urto del trio Baggio-Ravanelli-Vialli, e andò vicino al gol solo con una punizione di Bortolazzi ben respinta in corner da Rampulla. Nel secondo tempo, complice anche il contemporaneo vantaggio del Parma, diretta antagonista, sul Bari, i bianconeri scesero in campo con maggiore spinta tanto da trovare già al 3’ Vialli vicino al vantaggio. Al 5’ l’episodio chiave del match: cross di Livio, Micillo che pasticcia in uscita, con Ravanelli che, colpendo a botta sicura, trovò come unico ostacolo tra sé e il goal la mano di Galante. Il conseguente rigore, realizzato da Baggio con un tiro centrale, fu l’inizio della fine per il Grifone; in 10 per l’espulsione dello stesso Galante, i rossoblu crollarono sotto i colpi della Signora: al 17’ 2-0 di Ravanelli con un colpo di testa a schiacciare su cross dalla destra di Vialli; al 36’3-0 di Jarni con una bordata di sinistro dal limite; e 4-0 finale di Vialli, con un destro secco dopo un dribbling a rientrare a tempo oramai scaduto. A quel punto a Vialli e compagni sarebbe bastato un punto nello scontro diretto casalingo contro il Parma della settimana successiva per conquistare lo scudetto, ma quella era una Juventus che “odiava” il pareggio e perciò preferì festeggiare adeguatamente il titolo: con un altro incontestabile 4-0.