La mia Juventus

CozzolinoLa mia Juventus comincia pochi giorni prima del Natale del 1974. Esattamente il 15 dicembre del 1974. La Juventus era di scena a Napoli, per una temibile trasferta con la squadra di Luis Vinicio, precursore del gioco a zona. Da pochi giorni avevo compiuto sette anni, eppure ho nitidi ricordi dei discorsi che quella mattina ascoltai nell’autorimessa gestita da un mio lontano parente che aveva l’abitudine di comprare ogni giorno l’innominabile giornalaccio rosa e renderlo disponibile per i suoi clienti e avventori. La Juve era merda e doveva avere una lezione. Il capannello era sempre più nutrito e le opinioni concordanti. La Juve era merda. E quel pomeriggio andava asfaltata nel catino del San Paolo. Io non capivo il motivo di tanto astio, e me ne stavo in silenzio mentre il mio papà tirava fuori l’auto e ci caricava a bordo. Quel pomeriggio la Juventus vinse 6 a 2 al San Paolo e fu una partita memorabile. Valenti e Barendson mandarono in onda le immagini e io capii che in quelle maglie bianconere c’era qualcosa di speciale, di magico. Mi passarono in testa le parole che avevo ascoltato quella mattina. Forse la Juve non era poi tanto merda se aveva vinto in maniera così travolgente. Quel capannello antijuventino lo ritrovai il lunedì mattina allo stesso posto. Stavolta parlavano dell’arbitro. Uno di loro blaterava cose strane, e non ho mai capito cosa c'entrasse la 127 Special di mio padre con l’arbitro di quella partita. Eppure si narrava che ne avesse ritirata una uguale proprio in quei giorni.
Dalla 127 Special del 1974 alla Maserati di Pairetto del 2004 il passo è breve. Da quel giorno di capannelli antijuventini ne ho visti tanti. Ma ormai ero rapito dai colpi di testa di Bettega, dai cross di Causio, dalle parate di Zoff. E cominciai a capire che l’astio era direttamente proporzionale alle vittorie della squadra. Era una specie di cartina tornasole del rosicamento che già all’epoca era copioso in certi ambienti. Ero diventato gobbo, gobbissimo. Piansi per la prima volta nel 1978 quando il Bruges ci sbatté fuori dalla Coppa dei Campioni con un arbitraggio scandaloso. Mi era parsa una ingiustizia atroce e non capii. Non immaginavo a 11 anni quello che mi sarebbe capitato a 39, nell’estate del 2006. Ma il percorso fu netto e sempre in crescendo. Il capannello dell’autorimessa si era trasferito in TV al Processo di Biscardi. Facce diverse ma stessi argomenti e stessi toni. Ma grandi soddisfazioni e grandi sacrifici. Abitavo a Napoli e, ormai adolescente, accantonavo intere paghette per poter vedere la Juve a Torino almeno un paio di volte all’anno.
Nel gennaio dell’85 sbarcai a Porta Nuova in piena bufera di neve. Si doveva giocare Juve-Liverpool di Supercoppa Europea. Arrivai al Comunale quando era ormai chiaro che la partita sarebbe stata rimandata. All’improvviso spuntarono dei furgoni e delle pale. Ci offrimmo volontari per ripulire lo stadio. Fu una corsa contro il tempo, e ci riuscimmo. La partita si giocò regolarmente e vincemmo con una splendida doppietta di Boniek. Dopo la partita mi addormentai a Porta Nuova come un barbone, ma contento. Io ho visto Platini. E ho sentito veramente quella sensazione di entrare in campo e vincere già 1-0. Michel era così, mi spiace che la politica del calcio lo abbia fatto diventare come un Abete qualunque. Poi ho visto Baggio, Del Piero e Zidane. Ma Michel è stato “il calcio” perché nessuno avrebbe sorriso come lui se gli avessero annullato il gol più bello di tutti i tempi. Poi ho visto tante vittorie e qualche sconfitta. Da innamorato mi ero quasi assuefatto ad una competitività ormai costante, frutto delle scelte di un gruppo dirigente ideologicamente avanti anni luce rispetto alla concorrenza.
L’imboscata del 2006 fu un fulmine a ciel sereno. In quei giorni mi resi conto che dopo aver tanto ricevuto dalla Vecchia Signora era il momento di dare qualcosa. Cercai di reagire a quell’onda di calunnia che stava abbattendo la Juventus e con essa tutto quello che aveva rappresentato per me da bambino, da adolescente, da ragazzo e poi da uomo. E ho reagito con tutte le mie forze, sacrificando spesso tempo, denaro e affetti. E mi sono accorto di non essere solo alla ricerca della verità e della giustizia. Notti intere a studiare atti, a scrivere articoli, a collaborare con le difese degli imputati, ad ascoltare tracce audio di intercettazioni dimenticate. La mia Juventus in questi ultimi anni è stato anche questo. Il mio personale scudetto l’ho vinto in una notte di metà gennaio del 2010, quando ascoltai, primo fra tutti, Facchetti che faceva la griglia con Bergamo. Quella notte ho capito che dobbiamo sempre combattere per la verità e per la nostra passione, qualunque essa sia. Adesso la Juventus sembra essere nuovamente in buone mani. Ci resta la consapevolezza di essere stati buoni cavalieri quando la Vecchia Signora ha avuto bisogno di custodire la propria essenza mentre i mercanti avevano occupato indegnamente il tempio. Stamattina al bar c’erano il solito capannello e il solito giornalaccio rosa sul bancone dei gelati. E’ proprio vero che siamo tornati.