Le sane abitudini!

MarottaUn esplicito Corrado Guzzanti ci spiega tra il forbito e il ciociaro il livello della tecnologia della comunicazione oramai raggiunta a tutti i livelli e, in fondo, anche la sua è comunicazione. Livelli cui ci siamo dovuti, volenti o nolenti, abituare più o meno tutti, con differenti gradi di attenzione, ovviamente. Al punto che i più organizzati hanno adottato determinate scelte, imponendo forse la propria volontà ad altri, e a se stessi sicuramente. Un po' dipende anche dal lavoro che una persona svolge; ma nel tempo libero c'è l'imbarazzo della scelta tra gli oramai vetusti sms, WhatsApp, Skype, Twitter, il Voip ormai applicabile anche su Facebook, tutto già ampiamente superato dalle ultime semisconosciute novità ma comunque incagliato dall'utilizzo e dalla diffusione di massa.

C'è chi ha scelto di utilizzare solo parte delle applicazioni disponibili dando priorità in base a determinati criteri: la diffusione appunto, il risparmio, i gruppi di lavoro, l'abitudine. C'è poi chi ha scelto invece di gettarsi nella mischia totalmente, anima e corpo, auricolari e microfono, creando utenti per ogni tipo di piattaforma comunicativa, costretto dalla propria generazione, da più cuori che battono su piattaforme differenti, dalla multimedialità o dal proprio essere compulsivo. Come si fa a rinunciare all'ultima applicazione che dallo smartphone permette di fotografare qualsiasi cosa, che poi un database scruta in tempo zero spiegandovene per filo e per segno i cenni storici, le caratteristiche, le particolarità e tutto quello che vi manca di sapere?

Irrinunciabile, lo smartphone per tutte le categorie lavorative, dall'operaio siderurgico, all'agente di viaggio, al giornalista sportivo. Ecco, le sane abitudini e l'essere compulsivo. Il giornalista, magari di gossip o meglio ancora quello sportivo, è all'avanguardia, i microfoni oramai superati, prima rimpiazzati da lettori MP3 con la funzione "record & play" ma oramai anch'essi spazzati via da IPhone o smartphone Android che registrano, condividono e spediscono on line alla redazione le ultime dichiarazioni di Raffaella Fico, di Massimo Moratti, di Beppe Marotta e, una volta, di Luciano Moggi.

Di Luciano Moggi. E certo. E che ti diceva Luciano Moggi ante 2006? Parlava, parlava e parlava di scambi, di giovani interessanti, di contropartite, di viaggi all'estero e poi, al solito, il goloso giornalista sportivo intento a raccogliere prima di tutti il colpo di mercato, lo scoop dell'anno, rimaneva come il vigile di "Amici miei" dopo la supercazzola del Conte Mascetti domandandosi intontito: "Ma che cazzo ha detto alla fine"? Le sane abitudini sono andate scomparendo lasciando il posto ad un innaturale cambiamento kafkiano, e più che in un bacarozzo Moggi è stato costretto, e mi perdonerà l'ardita metafora, a trasformarsi in una tartaruga , magari la tartaruga alligatore per rendere più calzante il paragone. In un incedere lento verso la meta, corazzato per gli attacchi alle spalle, con la testa pronta ad uscire una volta al riparo per spalancare la bocca e parlare, parlare, parlare come mai è stato abituato a fare nella sua carriera professionistica da re del calciomercato.

E Marotta? Esattamente il percorso opposto, da Direttore Generale della Sampdoria dove, parlando parlando, e parlando è riuscito a portare in blucerchiato Cassano dal Real Madrid e Pazzini dalla Fiorentina (a proposito di sane abitudini), è diventato prima Direttore Generale e poi addirittura Amministratore Delegato di uno dei più rinomati Club del mondo. La Juventus.

Già il classico salto generazionale tra Moggi e Marotta è notevole, 20 anni esatti, ma tecnologicamente parlando è anche molto di più. In 20 anni abbiamo visto almeno 10 generazioni tecnologiche sovrapporsi, anni confusionari dove è stato arduo per tutti abituarsi, avvicinarsi ad una tecnologia sostituita appena dopo esservicisi abituati, vedersi spianare sotto il muso aggeggi lampeggianti, con led luminosi, con protuberanze gommose fino ad arrivare a minuscoli microchip che solo per il fatto di comprendere come diamine possano registrare la voce invogliano a parlare. Ecco che ritorna anche l'essere compulsivo, quell'esigenza di dover a tutti i costi spiegare il come e il perché, il dove e il quando, l'esigenza delle comari che si chiamavano tutti i giorni per raccontarsi cosa avevano mangiato in una postuma gara culinaria.

Cambiare è simbolo di intelligenza, progredire regredendo è possibile, meno parole, più sguardi, ammiccamenti, seguire il diktat del proprietario che per una volta ha detto qualcosa di Juventino; "Fare di più e parlare di meno". Peccato lo abbia detto anche lui pubblicamente e non nel segreto di una stanza insonorizzata alla presenza dell'Amministratore Delegato Giuseppe Marotta così che possa anche lui un giorno, senza pentimento, con un mezzo sorriso sulle labbra, impostato in quel classico atteggiamento di ladro di cavalli, dire al giornalista che gli stampa sulle labbra il curioso microchip: "Aggiornalista, ma io e te, che cazzo se dovemo di'? Che il mercato chiude domani". Appena prima di annunciare l'arrivo di Suarez alla Juventus sul sito ufficiale.

E statte zitto!