L'importante è che non fumi Bonini

PlatiniQuando penso a “Casco d’oro” mi vengono in mente due persone: Caterina Caselli, la bravissima cantante degli anni settanta, una delle voci italiane più belle di tutti i tempi, e Massimo Bonini, il grintoso giocatore bianconero che fece diventare grandissimo il già grande Platini.
Come dimenticare quella cascata di capelli biondi svolazzanti, di un giallo accecante, che si accendevano in ogni parte del campo? Li vedevi a guardia delle porte di Zoff e Tacconi e dieci secondi dopo li ritrovavi al limite della difesa avversaria.
Il proprietario di quella felicissima cascata di capelli biondi era Massimo Bonini, giocatore che ho apprezzato e stimato profondamente, lo “sputa polmoni” voluto fortemente da Boniperti e Trapattoni.
Correva l’anno 1981 e c’era da sostituire Capitan Furino. Non era facile. Andava in pensione “la roccia juventina” degli anni settanta, il muro di centrocampo, la diga tutta muscoli che aveva giganteggiato nel cuore del gioco bianconero per più di un decennio.
Ecco che occorreva il sostituto, e Boniperti individuò nella festosa Romagna questo biondone, che si era messo in luce nel Cesena, sotto la guida dell’esperto Bagnoli, e con il solito fiuto da segugio in tutta fretta se lo portò a Torino.
Massimo è nato a San Marino ed ha tirato i primi calci nella “Juventus”, la squadra dell’Oratorio parrocchiale. E’ proprio il caso di dire che la “Juventus” era nel suo destino: aveva appena 10-11 anni, e già respirava l’aria bianconera. La Romagna, lo sappiamo, porta atavicamente questi colori nel cuore.
Iniziò la carriera nel San Marino, finendo nel '78-'79 al Cesena, dove esplose, meritandosi la Juve, quella vera, quella Campione d’Italia, quella nata su una panchina di Torino, quella più amata ed odiata dagli italiani, la squadra dei suoi sogni.
Fu presentato a Torino alla stampa da Francesco Morini, e colpì subito la sua profonda timidezza, ancora incerta sul suo futuro, che invece gli avrebbe aperto orizzonti sconfinati.
Ci pensò Pablito Rossi, il suo compagno di camera in ritiro a Villar Perosa, con la sua impareggiabile simpatia, a farlo entrare subito in clima juventino, insegnandogli a ragionare da grande, come devono essere da sempre i giocatori della Vecchia Signora.
Divenne quasi subito titolare inamovibile grazie al suo dinamismo impressionante, al suo gioco ispirato alla corsa ed al recupero dei palloni. Una crescita tecnico-tattica ben visibile anno dopo anno, che ebbe la sua consacrazione con la vittoria del campionato numero 21, anno 1984, dove fu uno dei protagonisti assoluti, esaltandosi a centrocampo accanto a due giganti del calcio: Tardelli e Platini.
Ma Massimo non sfigurò mai al loro cospetto, anzi era diventato indispensabile per i due mitici calciatori, sicuri che al fianco loro era sempre presente “Casco d’oro”, a proteggerli e a coprire i loro slanci in attacco.
Non smarriva mai la sua lucidità, sembrava un giocattolo che si sarebbe fermato solo quando finiva la carica.
Non dimenticheremo mai la sua umiltà nelle interviste, nelle quali ringraziava sempre il destino che gli aveva concesso la grazia di giocare accanto a Platini. Ma se il francese è diventato “le Roi” è grazie anche a Massimo, che lo copriva in lungo e largo, recuperando duecento palloni a partita per depositarli nei piedi del francese, che lo avrebbe acceso con le sue indimenticabili magie.
Il Trap stravedeva per lui e lo migliorò nei fondamentali, così come aveva fatto con Gentile alcuni anni prima e come avrebbe fatto con Torricelli e Ravanelli negli anni novanta.
Era una delle caratteristiche di “Giuan”: far crescere e maturare i talenti, con una velocità sorprendente.
Lo spirito di Bonini lo definirei dilettantistico talmente era umile, come umile era il suo gioco, un gioco che adesso non esiste più. Non esistono più i “portaborracce”, i giocatori “che fanno legna”. Adesso il centrocampista deve avere nerbo e classe, inventare giocate da fantasista, illuminare la platea con colpi di genio. Marchisio, Vidal e Pogba sono gli esempi classici del centrocampista perfetto degli anni 2000, cursori ma con classe da “numeri dieci”.
Ma quelli erano altri tempi, e il destino di Massimo era di correre in modo fanatico ed avvolgente, con la sua capigliatura color del grano che aveva fatto innamorare Boniperti, dopo i consigli di Perluigi Cera, il libero “messicano 70”: “Giampiero dammi retta, sarà più forte di Furino”, gli disse una sera di primavera.
Boniperti allora corse a Cesena e se lo portò a Torino, dove il ragazzo, con la sua Juve, sarebbe diventato Campione del Mondo per Club a Tokio, nel dicembre '85. Massimo fu uno dei migliori in campo insieme al nuovo compagno di reparto Lionello Manfredonia. I due furono i padroni assoluti del centrocampo, giustamente esaltati da tutte le testate giornalistiche il giorno seguente. Impossibile dimenticare il sorriso smagliante di Bonini, incorniciato dalla solita cascata di capelli biondi, mentre abbraccia Boniperti nel centro del campo subito dopo il fischio finale. E’ probabile che in quel momento il suo pensiero sia volato dolce e nostalgico a Don Peppino, il parroco dell’oratorio di San Marino, il suo primo allenatore della sua prima Juventus, quando andava a calciare palloni marroni e pesanti su ondulati campi di terra.
Anche per Bonini sono esistite, comunque, le pagine tristi. Era il numero 4 bianconero nella partita più dolorosa di sempre, la partita macchiata di sangue, la partita della lucida follia, quando “vincere diventò un dovere” per i nostri undici giocatori. Non commenterò la pagella o la prestazione di Massimo sul prato dell’Heysel: di fronte a tali tragedie anche il pallone che rotola non ha più senso.
E allora ricordiamo “Casco d’oro” mentre taglia il campo rincorrendo l’avversario fino a rapirgli il pallone per donarlo a Platini, pronto ad incantare la folla, e ricordiamolo umile e sempre zelante in allenamento con la grinta da match vero. Per lui allenamento o finale di Coppa Intercontinentale non facevano differenza e il sacrificio podistico era ugualmente distribuito.
E allora grazie “Casco d’oro”, eroe juventino di un calcio che non c’è più, ma che ha lasciato il segno nel cuore di tutti, come lo hai lasciato tu, quando ci salutasti da Tokyo da Campione del Mondo per Club: “Sayonara Massimo”.
Concludo ricordando un’indimenticabile intervista a Platini, quando il giornalista gli chiese:
“Platini, ma è vero che fuma quasi un pacchetto di sigarette al giorno?”
“ Certo. L'importante è che non fumi Bonini”.