Juve-Real ’03: la partita (quasi) perfetta

Per la quasi totalità dei tifosi ancora oggi Juve-Real rimanda immediatamente alla memoria il ritorno della semifinale di Champions del 2003: una partita in cui si concentrarono tutte le virtù che da sempre hanno contraddistinto la Signora e che speriamo i nostri mettano in campo anche stavolta allo Juventus Stadium: muscoli, cuore, nervi d’acciaio e l’immensa classe dei suoi campioni perché, va bene dar fondo a tutto quello che i giocatori hanno in corpo, ma se questi si chiamano Nedved, Del Piero, Trezeguet una speranza in più di portare a casa la sfida con la squadra ritenuta da tutti la più forte del mondo puoi senza dubbio averla.

La possibilità concreta di giocarsi l’accesso alla finale di Manchester aveva di fatto messo all’angolo anche la conquista del 27simo scudetto nella gara col Perugia che precedeva  quella col Real: dapprima la partita con gli umbri appariva quasi come un fastidio e per questo Lippi fece largo ricorso  al turnover. Poi, al triplice fischio finale, breve giro di campo, solite secchiate d’acqua negli spogliatoi, piccolo brindisi e tutti a letto per preparare nel migliore dei modi la sfida ai Galacticos. Il 2-1 dell’andata al Bernabeu garantiva buone probabilità di passare il turno; serviva però una gara tosta, con grande attenzione in difesa visto lo spaventoso potenziale dei madrileni capaci di colpire anche in momenti di relativa calma, come già successo all’andata: Non dobbiamo farci prendere dall’entusiasmo e andare allo sbaraglio. Noi crediamo di poter fare un gol al Real Madrid, e non dobbiamo subirne.” Queste le parole di Marcello Lippi, ripetute sia all’indomani della sconfitta di Madrid che nell’immediata vigilia del ritorno al “Delle Alpi”, quasi a voler ripercorrere una tradizione italiana fatta molto spesso di catenaccio e contropiede quasi mai, però arricchita anche dal tecnico viareggino. Fu anzi l’allora tecnico dei blancos Del Bosque a partire con un più prudente 4-3-2-1, visti gli acciacchi di Raul e Ronaldo e la squalifica di Makelele in mezzo al campo dove, accanto a Guti, vennero schierati Flavio Conceição e Cambiasso.

E infatti, quando le due squadre scesero in campo in una calda serata di primavera inoltrata, si capì subito che le cose sarebbero andate diversamente rispetto a quanto detto da Lippi, con una Juventus caparbia e spavalda allo stesso tempo: bastarono dodici minuti a Nedved per ubriacare Helguera e crossare sul secondo palo, dove Del Piero fece da sponda per la girata al volo di Trezeguet. L’onere di attaccare passava ora al Real, costretto a rimontare i due gol del francese tra andata e ritorno. Ci provarono gli spagnoli, con il loro possesso palla, ma i ragazzi di Lippi si difesero con ordine: le fasce erano ben presidiate dal solito Thuram e da un Birindelli capace di frenare un Figo pressoché ad ogni tentativo di uno contro uno, mentre la zona centrale vedeva Montero e Tudor annullare Raul. Era la Juve ad essere galattica e a riprendere attorno al 35’ l’iniziativa, alzando il ritmo con testa e con una qualità di gioco davvero spumeggiante.

Il gran gol di Del Piero al 43’, con quel controllo seguito da una doppia finta e palla all’angolino, infondeva in tutta la squadra ulteriore fiducia e convinzione, facendo esplodere in un grande boato un “Delle Alpi” stracolmo come forse mai prima di allora. Il secondo tempo riprese ancora con Nedved a correre da una parte all’altra del campo e con Zambrotta pericolo costante dalle parti di Roberto Carlos. Ci volle l’ingresso di Ronaldo per Flavio Conceição per rivedere il Real: il brasiliano venne agganciato in area da Montero e si conquistò un rigore battuto da Figo e neutralizzato da Buffon con un grande intervento. L’apoteosi sembrava essere giunta con il 3-0 di Nedved che corse ad esultare in ginocchio ai piedi della Curva Scirea: sarebbe stata proprio la “Furia  Ceka” a macchiare una gara fin lì perfetta con un fallo completamente inutile a metà campo su McManaman, rimediando così quel giallo che non gli avrebbe permesso di giocare la finale di Manchester.  Il 3-1 finale di Zidane sarebbe servito solo a mettere un po’ più di pathos per gli ultimi 2 minuti più recupero.

Al fischio finale scoppiò per tutti la festa tranne che per Nedved, in lacrime in mezzo al campo ed abbracciato da Conte: “Ho pianto tanto, ero stanco e non sono riuscito a fermarmi, per una vita ho sognato di giocare la finale di Champions League”. Così avrebbe commentato a fine gara: averlo visto piangere è stato l’unico momento di tristezza in una serata che altrimenti avremmo potuto considerare perfetta, senza quel “quasi” tra parentesi.