Divisioni inutili

Chi è causa del suo mal pianga se stesso, recita un vecchio adagio. In questo caso c'era un male all'orizzonte: una curva a rischio squalifica in applicazione delle cervellotiche norme sulla cosiddetta discriminazione territoriale. Cervellotiche e applicate (e forse concepite) a senso unico, ossia a tutela dei napoletani (intesi come abitanti? Come tifosi? Un po' e un po', si è voluta creare una zona grigia nella quale è più facile sguazzare). Una situazione surreale, passata attraverso la punizione di altre curve e il cambio di alcune modalità applicative in corsa, quando stava per essere stangato il Milan, a seguito anche di una gara di solidarietà (in realtà un atto di forza) tra gli ultras di tutta Italia, juventini compresi. C'è un altro adagio, però, che dice: dura lex, sed lex.

Dura, anche surreale e spesso ipocrita, ma comunque una legge nota e che in ogni caso non sopprime il lato fondamentale del tifo, ossia sostenere incessantemente la propria squadra. Bastava solo farsi un po' più furbi (soprattutto quando si sa di avere una lente di ingrandimento puntata addosso) per evitare le spiacevoli conseguenze. Un po' come la regola che non ci si può togliere la maglietta per esultare dopo un goal: regola stupida, ma c'è. Basta esultare come si faceva fino a qualche anno fa e il problema non si pone. Però per una fetta del mondo ultras il problema è probabilmente proprio che esista una legge, che le si voglia imporre cosa si può fare e cosa non si può fare in uno stadio. La loro battaglia non è più contro i napoletani, ma contro la legge. "Noi facciamo il cazzo che vogliamo" hanno scritto e cantato. Questo bisogna tenerlo bene a mente per inquadrare la questione ed evitare di soffermarsi su aspetti che vengono presentati come fondamentali ma in realtà sono fuorvianti e nascondono il vero nocciolo della questione. E', la loro, una lotta per la libertà di tifo contro, per poter urlare quello che gli pare. Andando a fondo, sembrerebbe quasi una battaglia di sopravvivenza, per continuare ad esistere così come sono adesso. Una questione di principio che prescinde dal tifo per la propria squadra che, giova ripeterlo, non viene minimamente toccato da queste nuove norme. Una questione, in definitiva, strumentale.

Ora, con la curva sud squalificata per due turni, la società ha appoggiato una campagna di Tuttosport per portare in quelle due partite i bambini nei settori squalificati. Con il benestare delle istituzioni, sembra che questa soluzione verrà messa in pratica nelle partite contro Udinese e Sassuolo. Gli ultras accusano la società di strumentalizzare i bambini per andare contro la tifoseria organizzata. Dove risiederebbe la strumentalizzazione? Difficile da capire. Dicono che i bambini vengono trattati come "scudi umani" nella dialettica tra società e ultras. Ecco allora il punto nodale: ci deve essere una differenza tra ciò che emerge sopra il pelo dell'acqua e ciò che resta sotto. C'è, è evidente, un rapporto tra la società e i gruppi organizzati che si è incrinato. Gli ultras si aspettavano, incredibile a dirsi, appoggio da parte della Juventus in questa vicenda e di conseguenza vedono le curve aperte ai bambini come una strumentalizzazione, quando al massimo si può parlare di una scelta un po' paracula. E' una scelta di immagine, la Juventus vuole in questo modo distaccarsi dal becerume da stadio. Va però ricordato che, nello Juventus Stadium, il rapporto tra società e tifoseria organizzata si fonda su una specie di accordo, anche se ufficialmente non si può dire, risalente a due anni fa quando la nuova struttura fu inaugurata: la curva Sud viene dalla Juventus "appaltata" agli ultras e diventa una zona franca dove non valgono le norme che vigono nel resto dello stadio, a iniziare dal rispetto dei posti assegnati e dal ruolo degli steward. Ovvio che l'ultras senta quello spicchio di stadio come una cosa sua, nella quale si sente autorizzato a imporre le sue leggi. Già la sola presenza dei bambini in queste due partite sarà per loro una specie di profanazione. L'occasione di questa squalifica, quindi, servirà a ridefinire i rapporti di forza tra le parti, secondo logiche che oramai (e questo è il lato più triste della vicenda) esulano da quelle del tifo e del sostegno alla squadra ma ricordano sempre più da vicino quelle della lotta sindacale: infatti si minacciano scioperi del tifo, esperienza già attuata lo scorso anno col corollario di minacce (documentate da lettere a vari siti) nei confronti di chi voleva continuare a tifare e sostenere la squadra in campo. Ancora una volta, la ragione che dovrebbe animare chi frequenta lo stadio, ossia tifare in maniera pura e disinteressata, passa in secondo piano di fronte alla guerra di potere tra società e gruppi, e sulla pelle della squadra.

"Senza di noi chi la farà la bolgia?", domandano provocatoriamente gli ultras. E non hanno torto, perché il motore del tifo nello Juventus Stadium (come in tutti gli stadi) è la tifoseria organizzata. "Conte non chieda più la bolgia", aggiungono. Sì, ma: cosa c'entra la bolgia col punto di partenza? Cosa c'entra con la violazione delle norme sulla discriminazione territoriale? Sono le parole di Conte, semmai, ad essere strumentalizzate: il sostegno, il tifo caldo, lo si può fare anche senza i cori che sono costati la squalifica. E la società non poteva certo far nulla di fronte alla palese violazione di una norma, per quanto cervellotica essa sia. A maggior ragione dopo che è stato fatto tutto scientemente, conoscendo quali sarebbero state le conseguenze: si voleva l'atto di forza, affermare il proprio diritto ai cori sul Vesuvio. Si voleva dimostrare al mondo che "Noi facciamo il cazzo che vogliamo". E non può essere certo la Juve a farsi carico di ciò, a prescindere dal giudizio che su quei cori si possa avere. E diventa assurdo, persino sfacciato, da parte loro richiedere adesso che il saluto a Trezeguet, in programma nell'intervallo della partita col Sassuolo, venga posticipato a fine gara con i cancelli della sud aperti. Hanno ritenuto di privilegiare il loro presunto diritto al libero becerume rispetto al saluto a un ex campione, ora ne paghino le conseguenze.

Nel rivendicare le loro ragioni, gli ultras tirano in ballo anche i vandalismi compiuti dai napoletani nel settore ospiti: bagni divelti, rubinetti e pezzi di sanitari lanciati nei settori occupati da tifosi juventini (alcuni dei quali hanno avuto bisogno delle cure mediche) e lancio di sacchetti pieni di escrementi liquidi e solidi. Se però, da un lato, è argomento condivisibile rimproverare la società per non aver fatto nulla per stigmatizzare tutto ciò e prendere pubblicamente le difese dei propri tifosi aggrediti, dall'altro questo non può essere utilizzato da chi era in curva sud come scusante e giustificazione. Non esiste nesso tra i cori incriminati e quelle barbarie, se non forse in qualche reazione da parte di chi occupava le zone della curva nord e della tribuna est attigue al settore ospiti. Questa sì che è una strumentalizzazione, è voler tirare dentro più argomenti possibile, slegati tra di loro, per fare confusione. La realtà è che tutto ciò si poteva evitare in un solo modo: non cantando quei cori, non volendo andare a tutti i costi allo scontro.  Fino a un mese fa ci si era riusciti, e nelle maglie della nuova norma ci erano finite altre tifoserie. Poi c'è stata la minaccia di chiusura dell'intero stadio del Milan, l'intervento massiccio di Galliani, l'immediata solidarietà di tutti gli ultras, il cambio della norma con l'introduzione della condizionale e da lì la doppia infrazione a carico della curva sud. Si è voluti andare in soccorso dei "nemici" e imbarcarsi in una guerra assurda, persa in partenza. Fatto quel passo, le conseguenze sono state inevitabili.
Ognuno ha il sacrosanto diritto di tifare come gli pare, purché lo faccia nei modi consentiti, e senza arrecare danno agli altri. La passione deve unire, e non dividere. "La Juve siamo noi" deve valere per tutti, fuori dallo stadio come all'interno dello stesso, in tutti i settori.