Milan-Juve ’95: quando la Juve andò a prendersi lo scudetto a San Siro

Basterebbe osservare attentamente le urla di Baggio, Ravanelli, Vialli e Di Livio a fine gara per comprendere appieno quanto la vittoria al “Meazza” contro il Milan del 1° aprile 1995 fosse cruciale nel cammino che  li avrebbe poi portati a conquistare il 23esimo scudetto della storia bianconera.
Uno scudetto che alla Juve mancava da nove anni,  durante i quali la Juve era stata costretta ad accontentarsi delle “briciole” (due Coppe Uefa e una Coppa Italia), mentre i rossoneri facevano incetta di trofei in Italia, in Europa e nel mondo. Una situazione difficile da digerire sotto la Mole, tanto che nel 1990  l’avvocato  Agnelli, con la presidenza di Montezemolo, aveva provato ad imitare quel modello vincente:  una faraonica campagna acquisti (Baggio, Di Canio, Haessler) e l’ingaggio di un allenatore (Maifredi) che avrebbe dovuto portare il calcio “champagne” nel nuovo stadio “Delle Alpi”.
Le conseguenze di quelle scelte erano state invece  disastrose e i tifosi dovettero aspettare così l’avvento di Lippi nel ‘94 per vedere la Juve imporre un gran gioco su qualsiasi campo. E grazie all’arrivo di Moggi, Giraudo e Bettega la strategia bianconera venne addirittura migliorata: risultati sportivi eccellenti, gioco spettacolare interpretato da grandi campioni, il tutto senza  nemmeno richiedere i continui esborsi finanziari che invece caratterizzavano la gestione societaria dei rossoneri.
Così, a nove giornate dalla fine del campionato, quel Milan-Juve ebbe i risvolti di un vero e proprio passaggio di consegne tra chi aveva dominato il calcio italiano ed europeo e chi si apprestava a farlo. Alla vigilia del big-match di San Siro i nostri erano primi in classifica con 6 punti di vantaggio sul Parma di Scala, e ben 13 sullo stesso Milan. Il 2-0 di San Siro  fu una mazzata psicologica anche per il Parma, a causa della sconfitta dei ducali impegnati all’Olimpico contro la Roma. sconfitta che fece scivolare gli emiliani a -9 dalla Juve.  
La gara dei bianconeri, un’autentica prova di forza in casa degli allora campioni in carica da tre stagioni consecutive, non fu solo il frutto della grande determinazione e ferocia agonistica che caratterizzava gli uomini di Lippi, ma anche e soprattutto il frutto di una prestazione maiuscola sotto il piano tecnico e atletico. Un incontro in cui i nostri, senza timore reverenziale alcuno, furono in grado d’imporre quel gioco offensivo che fino a quel momento aveva caratterizzato la stagione 94/95 juventina. Vialli e Ravanelli, oltre a timbrare il cartellino, furono autori di una prova di grande sacrificio tattico, con Paulo Sousa sempre pronto a recuperare palloni e a far ripartire l’azione insieme a Conte e a Deschamps, oltre che a fare da schermo alla coppia centrale di difesa composta da Kohler e Carrera.
L’atteggiamento spregiudicato della Juve aveva favorito da subito la spettacolarità della gara con continui capovolgimenti di fronte: la Juve andò infatti vicina al vantaggio per due volte nei primi dieci minuti con Vialli prima e con Conte di testa poi, ma il Milan seppe reagire e andò a sua volta vicino al goal per due volte con Savicevic, su punizione prima e con un colpo di testa a fil di palo dopo. Al 42’ la svolta del match: un’azione partita da Conte e proseguita da Vialli e Ravanelli portò quest’ultimo solo davanti a Rossi, scavalcato da un pallonetto prima che Penna Bianca spedisse il pallone in rete di testa. Un gesto tecnico davvero da apprezzare, che andava ad impreziosire una stagione fin lì caratterizzata da 25 reti tra campionato e coppe e che avrebbe potuto portare Ravanelli proprio in maglia rossonera; ma l’infortunio di Baggio a Padova aveva di fatto bloccato qualsiasi trattativa. Per il colpo del K.O. fu necessario aspettare il 39’ del secondo tempo: come in occasione del primo gol, la trappola del fuorigioco milanista fallì e Vialli, ben servito da Marocchi, trovò il tempo per disorientare Rossi e insaccare il gol del 2-0.
Ravanelli, negli spogliatoi era ancora raggiante per la partita: “Quest’anno tutti possono fidarsi di Ravanelli, non sono più il garzone del fornaio, ma un calciatore che è riuscito ad affinare la tecnica e il fisico grazie a Pezzotti e Ventrone. Ho segnato 25 gol finora, ma non voglio fermarmi, e ne vorrò fare tanti altri anche negli anni a venire, magari gol che potrebbero valere dei trofei”. Fu buon profeta Ravanelli, se consideriamo la doppietta nel 4-0 contro il Parma che avrebbe consegnato matematicamente lo scudetto alla Signora, o il goal in finale di Champions League dell'anno successivo.
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