Centodue

Ora che è tutto concluso, compreso il solito strascico sul destino dell'allenatore, possiamo celebrarlo come merita. E' finita 102-85 e qualcuno potrebbe pensare a una partita di basket senza storia. Perché quel 102, quel numero a tre cifre, non era mai stato, in oltre ottant'anni di Serie A a girone unico, un numero calcistico. Un numero terrestre. Il rischio è quello di assuefarsi e non cogliere a pieno i contorni di un'impresa leggendaria, che rimarrà scolpita in eterno nelle memorie e negli almanacchi. Fra trenta, quaranta o cent'anni due cose saranno ancora uguali ad oggi nel racconto del calcio italiano: che la Juve avrà vinto l'ennesimo scudetto solo grazie ai soliti favori arbitrali e che il record di punti in un solo campionato sarà di 102. CENTODUE.

A scriverlo in cifre come in lettere fa impressione. Basta solo girarsi indietro e vedere come era finita l'anno scorso: 87-78 non è poi tanto diverso dal 85-78 di oggi. Solo che allora era il distacco tra la prima e la seconda, adesso tra la seconda e la terza. La prima è oltre, è fuori concorso, è su un'altra dimensione, c'è tutta la differenza che passa tra la leggenda e la cronaca. E viene da ridere a ripensare che qualcuno ha a lungo parlato di due regine, addirittura che sarebbe servito assegnare due scudetti. Ma forse sì, forse mai come quest'anno veniva comodo assegnarne due per far sì che questa impresa da 102 punti non finisca, fra qualche anno, nel calderone della storia, per essere accomunata a uno qualsiasi degli scudetti precedenti. Come se fosse la stessa cosa. Uno scudetto per i normali e uno per gli immortali, così forse sarebbe stato più giusto.

Centodue, signori. Quasi il 90% dei punti disponibili, quando la Juve più dominante si era fermata all'85% nella mitica stagione dei 51 punti testa a testa con l'altra squadra cittadina. 19 su 19 in casa, e va bene. Provateci a fare uguale, non meglio. L'en plein di punti conquistati contro le ultime 10 squadre, quelle della famosa parte destra della classifica: 60 su 60. Ricordate il vecchio adagio sull'importanza di non perdere punti contro le medio piccole? Beh, come dire: la Juve quest'anno ha deciso di prenderlo proprio alla lettera. Sommando i punti totalizzati in questo fantastico triennio e dividendo per tre si ottiene una media di 91 punti a stagione: sì, quei famosi 91 punti capelliani entrati nella mitologia per la chiosa di Mughini e per le infamie che vennero subito dopo, quei 91 punti che solo fino a pochi anni fa erano il non plus ultra del dominio nell'immaginario comune bianconero, all'improvviso sono stati moltiplicati per tre. Questa Juve ha spostato barriere, ridisegnato limiti, ridefinito miti. E lo ha fatto solo otto anni dopo aver salvato la pellaccia da un tentato omicidio.

Per farlo, è ovvio, si deve passare attraverso gli alti e i bassi di una stagione, di tutte le stagioni. Il segreto, facile a dirsi e sino a ieri impossibile a farsi, è massimizzare il profitto nei periodi di bassa. Non stupisca quindi che 11 delle 33 vittorie, una su tre, siano state per 1-0. E' proprio lì che nasce l'impresa: quando almeno metà di quelle partite potevano essere 0-0 o 1-1, come succede alle squadre normali tutti gli anni, lo spartiacque tra uno scudetto ordinario e questo da centodue punti. Accadde spesso nel primo scudetto della trilogia, quello vinto da imbattuti ma con tanti, troppi pareggi frutto di partite passate a sbattere la testa contro un muro e magari farsi infilare alla prima sbavatura. Una maggiore esperienza che diventa maturità e si trasforma in cinismo, il livello qualitativo dell'attacco nettamente innalzato (e quindi un numero maggiore di giocate individuali che risolvono i problemi nei momenti di difficoltà) e un pizzico di fortuna (sì anche quella, perché negarlo: Llorente con l'Udinese all'andata, Pirlo a Genova dopo il rigore parato da Buffon, o la giocata estemporanea di Quagliarella a Parma per il goal di Pogba) sono gli ingredienti indispensabili per costruire l'anno di grazia. Ma non sarebbero bastati se non fossero stati sostenuti da una squadra feroce e assatanata per nove mesi senza sosta, che tutto quello che poteva se l'è andato a prendere con l'ingordigia del vincente per dna. Una squadra che, mai come quest'anno, è risultata la trasposizione sul campo del proprio allenatore. Ventidue "clean sheets", ossia partite concluse senza subire reti: l'ennesimo record che è tassello di un puzzle che, completato, disegna quel mostruoso numero a tre cifre. Così come le strisce di vittorie consecutive, sono tre e nascono tutte da crocevia che hanno poi indirizzato la stagione:
- 12 vittorie consecutive, record nella storia della Juve, dopo l'inopinata sconfitta/suicidio di Firenze. Quando la stagione sembrava destinata a colorarsi di giallorosso, o almeno questo era l'auspicio di molti. Un rullo compressore che in tre mesi porta il distacco -5 a +8, e da lì in poi non si scenderà più;
- 7 vittorie consecutive dopo il pareggio di Verona, un 2-2 all'ultimo secondo quando si vinceva 2-0 dopo un quarto d'ora. Conte non la prende bene e cancella il previsto lunedì di riposo, qualche ex che vede i suoi record sbriciolarsi trova da ridire ma i risultati seguenti stabiliranno chi aveva ragione;
- 7 vittorie consecutive, quelle finali, arrivate dopo la sconfitta di Napoli. Una sconfitta senza storia, quasi annunciata, giunta nel momento di maggiore stanchezza con gli impegni di Europa League e una serie di infortuni ravvicinati a imporre un tour de force che avrebbe ammazzato un toro. Ma anche quella sconfitta servirà da rincorsa per lo sprint finale, altri 21 punti su 21 per consegnarsi alla leggenda.

Ora è solo il momento di fermarsi, guardarsi indietro e ammirare, riassaporare, gustarsi meglio e fino in fondo l'impresa più straordinaria della storia del calcio italiano. Perché, come da maglietta celebrativa, "C'è chi legge la storia e chi la scrive: 102". E noi, da juventini, siamo dei lettori privilegiati che non smetteranno mai di ringraziare i nostri scrittori per avere vergato un capolavoro immortale.