Ventinove anni da quella sera

No, quella sera non ero là, c'erano però tanti miei amici. Per fortuna sono tornati tutti a casa, a differenza di altri che non ce l'hanno fatta. Segnati (alcuni anche fisicamente) da ciò che avevano visto, da quello che avevano vissuto, direttamente o indirettamente. Alcuni non sono più riusciti ad entrare in uno stadio, altri ci hanno messo molti anni.
Non credo ci sia un modo sensato (o almeno, non riesco a trovarlo) per onorare la memoria delle vittime di quella sera: siamo troppo piccoli di fronte a queste cose. Forse il silenzio è l'unica forma di vero rispetto. Di certo, non comprendo la necessità di rispondere alla pazzia omicida con l'odio incondizionato e generalizzato, con "English animals", "odio Liverpool" e similari. Per la follia criminale di qualche centinaio di delinquenti, non credo si debbano detestare un'intera città o un intero popolo, o addirittura condannare un'intera nazione. Non dimenticare è ben diverso dal manifestare un odio da guerra santa. Le faide lasciamole a chi si nutre di odio.
La ferita dell'Heysel è aperta, certo: lo sarà sempre. Ma non è con l'ostentazione della necessità di odiare e di contrapporsi che la si chiude. Essere nemici non ci migliorerà, e non gioverà al ricordo di chi non c'è più. Non è solo un problema culturale. Finché non si superano certe logiche, continueremo a vedere le magliette e le scritte col "meno 39", e sentiremo i cori e gli slogan infamanti. E continueremo sempre a darla vinta all'idiozia di chi straparla di esultanze, di rigori fuori area, di coppe insanguinate, di partite da rigiocare. Chi si ostina a non volerlo capire finisce inconsapevolmente per avallare i comportamenti di chi dileggia e infama da decenni quelli che ritiene essere i morti degli altri.
Quella tragedia è stata troppo spesso e da troppe persone (e per troppo tempo, anche in casa nostra) colpevolmente dimenticata, o addirittura nascosta. Da molti viene tuttora dileggiata. Perché è considerata una tragedia di parte, una tragedia juventina, e non una tragedia di tutti... come se perfino i morti avessero un colore o una fede sportiva. Non sono "i nostri" morti, magari da contrapporre a quelli degli altri. Non sono nostri quei 39 angeli: non appropriamocene. Continuiamo a ricordarli e ad onorarne la memoria, ma prendiamone atto. Appartengono alle proprie famiglie, non a noi. Forse basterebbe un po' più di rispetto, anche e soprattutto verso di loro.