Fiorentina-Juve ’82: una lezione dentro e fuori dal campo

Nella stagione '82-'83 Juve e Fiorentina si affrontarono al Franchi il 10 ottobre, in quella che da calendario era la quinta giornata. Erano passati quasi cinque mesi dal 16 maggio 1982, ovvero dall’ultima giornata della stagione precedente; nulla da quel giorno, tra bianconeri e viola, sarebbe stato come prima:  i ragazzi del Trap, infatti, si erano aggiudicati il ventesimo scudetto, strappandolo proprio alla Fiorentina. A Catanzaro, i nostri avevano la gara con i padroni di casa grazie a un penalty concesso dall'arbitro Pieri per un tocco di mano del difensore di casa Celestini su tiro di Fanna. Dal dischetto Brady aveva spiazzato Zaninelli: 0-1 Juve. A Cagliari, la squadra di De Sisti si era invece vista annullare un gol di Graziani per un precedente contatto tra Bertoni e il portiere Corti. Per il direttore di gara Mattei era stata carica sul portiere, dunque gol da annullare. La Fiorentina aveva  più volte provato a sfondare il muro sardo, ma non sarebbe andata oltre lo 0-0. Al 90', la classifica recitava così: Juventus 46, Fiorentina 45.
A Firenze, l’attesa per la partita era salita alle stelle, tanto che alle 13, lo stadio era già pieno in ogni ordine di posto, anche se il rendimento della squadra fino  a quel momento non era stato entusiasmante: fuori dalla Uefa e dalla Coppa Italia, anche in campionato, dopo due vittorie seguirono  una clamorosa sconfitta interna contro l’Udinese e un pareggio a San Siro contro l’Inter.
La Juve invece, andava benissimo nelle coppe, sia in quella nazionale che nella coppa campioni, ma in campionato sembrava afflitta da una sindrome da Dr Jekyll e Mr Hyde: a due vittorie casalinghe si erano alternate altrettante sconfitte esterne: a Genova contro la Samp, e a Verona contro l’Hellas. Fondamentale dunque cominciare a fare punti anche lontano dal Comunale.
Ci si attendeva un match ricco di spettacolo, di gol, di giocate di classe, considerando l’alto tasso tecnico delle due squadre. Ci si attendeva la giocata di Antognoni, Pecci, Graziani da una parte, oppure di Platini, Rossi e Tardelli dall’altra. Protagonista in negativo fu invece l’arbitro Menegali, incapace di tenere a bada l’agonismo in campo. Più che ad una partita di Serie A, sembrò di assistere ad un incontro di categorie inferiori, dove i ventidue in campo spesso e volentieri si mettono in evidenza più  per calcioni, strattonate e scorrettezze di vario tipo, che per le loro gesta tecniche. Alla fine del match furono ben otto gli ammoniti, da sommare all’espulsione di Tardelli.
La Fiorentina partì fortissimo, con Zoff bravo  a compiere un autentico miracolo al 14’, su colpo di testa di Passarella. Sul successivo calcio d’angolo Graziani prese il palo. Con il passare del tempo la pressione viola si fece più forte, ma sempre meno lucida, con il solo Antognoni ad ispirare e a non a tirare calci. La Juve, senza Boniek impegnato con la Nazionale, e con Platini, Tardelli, Marocchino in giornata nerissima, faceva fatica a costruire la benché minima occasione da gol. Furono invece Scirea, Furino e Brio ad esaltarsi in un clima da battaglia. Tra un’ammonizione e l’altra il primo tempo finì sullo 0-0. Ma nel secondo tempo Brio, dopo aver preso un palo, trovò il gol del vantaggio con un colpo di testa da centravanti puro.
La partita finì 1-0 per  i ragazzi del Trap, ma il match, a parole, continuò senza esclusioni di colpi. Pontello, l’allora presidente viola chiedeva se lo stile Juve consistesse “nelle pedate e nella fortuna”. L’attaccante viola Bertoni accusava i nostri di essere bravi “a  picchiare e passare inosservati”. Trapattoni dichiarò: “Non voglio rispondere a Pontello. Chieda a Passarella che la sa lunga”. Più diplomatico capitan Furino: “Lo stile della Juve è di non replicare alle offese, ma soprattutto a chi ti sputa in faccia”. Antognoni, voce fuori dal coro, dichiarò: ”Preferisco concentrarmi sui nostri problemi, e capire come colmare il distacco dal vertice. La Juve è  una grande squadra perché abituata alle pressioni dei grandi match, noi ancora no. Quando lo saremo, lo diventeremo anche noi”. A giudicare dal passato più o meno recente però sembra che a Firenze ancora non abbiano imparato la lezione.