Riprendiamo da Tuttosport (che ringraziamo) del 31-07-2011 questa interessantissima intervista all'avvocato Giuseppe Benedetto, che nel 2006 si dimise da giudice sportivo Figc del settore giovanile, disgustato da quanto stava accadendo.
"Lei signor Commissario aveva già deciso": l'avvocato Giuseppe Benedetto, il 15 luglio 2006, all'indomani della sentenza di primo grado della Caf, prende carta e penna e scrive al Commissario Guido Rossi per rassegnare le dimissioni da giudice sportivo del settore giovanile. Disgustato e indignato per un processo sommario e una sentenza ingiusta. L'avvocato, pur premonitore, non si immaginava allora di quanto sarebbe emerso poi. E a cinque anni di distanza chiede la verità. "Altro che tavolo della pace, serve un tavolo di chiarezza".
Avvocato Benedetto, che cosa l'ha spinta a scrivere quella lettera?
"Il fiuto. Da vecchio avvocato penalista capii che c'era qualcosa che non andava. Era evidente che quello non poteva essere un processo e dunque non poteva esserci un giudizio".
Da che cosa l'ha capito?
"Dal metodo, insopportabile. Dai tempi, irrisori. Dalle nomine. Quella è stata una giustizia tribale: non si può emettere un verdetto dopo 48 ore di processo, senza approfondimenti istruttori, non si possono cambiare i giudici il giorno prima... Assurdo".
Allora aveva intuito che esistessero altre telefonate e che era stata fatta una selezione?
"Assolutamente no. Non ero a conoscenza di fatti, ma intuivo che c'era del marcio e che bisognava sottrarsi a quel giudizio".
Scoprire attraverso il dibattimento di Napoli che lo scenario è diverso da quello emerso nel 2006 aumenta l'indignazione e aiuta a chiarire i fatti dell'epoca?
"Quello che allora era intuito adesso diventa indignazione perché emergono fatti che hanno rilevanza di matrice penale. Allora ero amareggiato perché capivo che stava accadendo qualcosa di ingiusto, adesso sono arrabbiato perché sono stati commessi fatti gravissimi, anzi perché sono stati commessi dei reati in fase di indagine. E se dovessi scriverla oggi questa lettera, è ovvio che sarebbe molto diversa, mi difenderei e attaccherei in un altro modo, cercando di perseguire le responsabilità di chi ha commesso e omesso i reati. Purtroppo non c'è nessuna soddisfazione nel sentirti dire che avevi ragione...".
Se questo nuovo materiale probatorio fosse stato a disposizione nel 2006, la Juventus sarebbe stata retrocessa oppure anche Inter e Milan avrebbero rischiato la serie B?
"Ho parlato con i colleghi che seguono il processo di Napoli e non mi pare che ci siano telefonate di Moggi o Giraudo in cui viene violato l'articolo 6. I dirigenti e la Juve sono stati condannati per la somma di violazioni di articoli 1. Adesso ci troviamo di fronte a telefonate in cui c'è palese illecito e quindi violazione dell'articolo 6 del diritto sportivo. Credo se quelle telefonate fossero state a conoscenza allora la storia del calcio italiano sarebbe stata scritta in modo diverso".
All'epoca lei ebbe una risposta ufficiale alla sua lettera?
"Hanno provato a dire, il giorno dopo la lettera, che io non mi ero dimesso ma ero stato sollevato dall'incarico. Peccato che in allegato alla lettera ci fosse anche il mio tesserino Coni per entrare allo stadio. Il mio gesto è stato simbolico".
Di fronte a questi nuovi fatti lei ha intenzione di procedere con una richiesta danni?
"A livello personale non intendo far prescrivere certi reati: sto valutando come muovermi".
E come dovrebbe invece agire la Juventus?
"Non è più tempo di difendersi, ma di far valere le proprie ragioni. Ci sono state omissioni importati: bisogna capire perché. E bisogna procedere non soltanto presso la giustizia sportiva o civile, ma anche presso quella penale, l'unica che può fare piena luce sulla vicenda. Spero che il club bianconero lo faccia e al più presto. Purtroppo ci sono danni che non possono essere risarciti, ma ciò che la Juventus deve pretendere è ristabilire la verità e accertare le responsabilità. Da Calciopoli siamo arrivati a Farsopoli, ma
adesso siamo a Criminopoli".
Come giudica il comportamento di Palazzi? Avrebbe dovuto archiviare perché i termini erano prescritti o poteva deferire e far decidere la Disciplinare innescando così l'iter processuale?
"C'è la testa e c'è l'anima: può darsi che qualcuno abbia pensato di salvare l'anima perché il cervello avrebbe portato a pensare e agire in maniera differente. Questo materiale scotta e nessuno vuole prendersi responsabilità. Per questo che bisogna andare a livello penale: altro che giustizia sportiva, ci vuole un'indagine penale".
Perché, secondo lei, nonostanti i segnali precisi Palazzi non ha continuato a indagare anche dopo il 2006?
"Perché la giustizia tribale aveva già trovato il suo colpevole, la Juventus, e l'aveva impiccata sulla pubblica piazza. Non c'era interesse a condurre un processo vero, un approfondimento dei fatti a cui si dà una qualificazione giuridica. Se la procura avesse continuato a indagare sarebbe emerso dell'altro, perciò era meglio chiudere così con un processo sommario. Ma la giustizia è altro!".
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