E' iniziata ieri la sfilata dei testimoni d'accusa e il copione è lo stesso del Processo GEA: sono platealmente scagionanti.
Clamorose le spiegazioni di Romeo Paparesta, che smentisce numerose delle leggende che nel 2006 vennero create dai media per mandare la Juve in B. Ex arbitro (ultima stagione 1987-88, anno in cui arbitrò Juve - Cesena finita 0-2 a tavolino, per il petardo di Sanguin), padre dell'arbitro Gianluca, è l'unico, fra gli utenti dei telefonini dotati delle famigerate SIM svizzere, ad aver ammesso di averne fatto uso. C'è solo un piccolo problema: Romeo Paparesta non è un imputato, e nemmeno è mai stato indagato, e nemmeno, a detta degli stessi giudici, lo sarà in mai. E allora a cosa servivano quelle schede? Se servivano a degli associati a delinquere ai fini di frode sportiva, perché non è sul banco degli imputati, ma addirittura un testimone dell'accusa?
E sì che nel giro di un anno e mezzo ne usa ben quattro, di telefonini dotati di SIM straniera: Moggi gli dà il primo nel settembre 2004, dotato di rubrica con memorizzati 4 contatti: Luciano 1 e Luciano 2, Angelo 1 e Angelo 2; a febbraio 2005, durante le elezioni federali, Lucianone gliene dà un secondo, con in rubrica gli stessi contatti, ma associati a numeri nuovi, perché Moggi e Fabiani li hanno cambiati; poi, a giugno 2005 un terzo cellulare, per lo stesso motivo; infine, a dicembre 2005 un quarto, che Romeo usa fino ad aprile 2006, cioè fino allo scoppio Farsopoli, allorché si fa prendere dal panico e butta via tutto.
Panico? Comprensibile, anche se poi scoprirà che in realtà non ce n'era motivo. Lo ripeto, perché è fondamentale: Romeo Paparesta, utente di SIM svizzere moggiane, non è un imputato, non è indagato, è un teste dell'accusa. E questo fatto non può che ridimensionare il teorema della fantomatica rete telefonica riservata a fini delittuosi, i cui utenti gli inquirenti ipotizzavano fossero arbitri, tra cui suo figlio Gianluca. Ricordate gli specchietti diffusi alla stampa due anni fa? Ecco, secondo quella ricostruzione, Gianluca Paparesta sarebbe fra gli arbitri asserviti a Moggi. In realtà, ieri abbiamo stabilito che non solo non era asservito, ma che addirittura di quei telefonini Gianluca era all'oscuro. A questo punto, c'è da pensare che nemmeno gli altri utenti fossero arbitri. Eh, sì, perché i cellulari che Moggi diede a Romeo Paparesta non servivano a comunicare con degli arbitri, ma semmai, come ha raccontato ieri il teste (ripeto, dell'accusa), a cercare di difendersi da loro.
Ma andiamo con ordine, e ricostruiamo la storia secondo quanto raccontato ieri: Romeo Paparesta aspira da anni a incarichi tecnici nell'AIA. Nei primi anni 2000 frequenta Lanese, a cui garantisce l'appoggio per l'elezione del 2002 a presidente, sperando di ricavarne un incarico di responsabile nel settore tecnico. Ma nonostante il buon esito dell'elezione, l'incarico non arriva. I rapporti con Lanese si raffreddano per un po', per riprendere in seguito, anche in virtù del ruolo dirigenziale dello stesso Paparesta nell'AIA.
Arriva maggio 2004 e Romeo torna a insistere, vuole una spinta per ottenere un ruolo di responsabilità, allora Lanese gli propone di incontrare Moggi, che a suo dire sarebbe molto ascoltato in ambito federale, con un certo ascendente su Carraro. Leggendo fra le righe della deposizione, in realtà forse Lanese voleva semplicemente liberarsene, sbolognarlo a qualcun altro. Così il 7 maggio 2004 se lo porta dietro a Torino, nella sede della Juve, dove ha in programma un incontro col dg bianconero per chiacchierare di politica federale, di problematiche arbitrali, roba di ordinaria amministrazione. Alla fine dell'incontro, Lanese presenta a Romeo Lucianone, che gentilmente gli dà il proprio numero (italiano) e gli dice di chiamarlo pure quando vuole. Qualche settimana dopo, estate 2004, ci sono le assegnazioni degli incarichi nell'AIA, e a Romeo va ancora male, nessun incarico, allora si decide a usare quel numero. Ci prova più volte, a chiamarlo, ma Lucianone non risponde. Arriva settembre, e finalmente, all'ennesimo tentativo, "lo sventurato rispose". Lucianone gli propone di raggiungerlo a Napoli la settimana dopo, a casa sua. Romeo ci va e vi trova anche Angelo Fabiani, che ancora non conosce e che scoprirà solo in seguito essere il ds del Messina.
In quell'incontro, Moggi si lamenta del potere delle squadre milanesi (parla anche delle romane, ma nei mesi successivi Romeo si accorge che sono le milanesi i suoi crucci principali). Lucianone sembra come ossessionato da Milan e Inter, o meglio, dai loro continui tentativi di sgambetto nei suoi confronti, in quanto dg della Juve. Per questo, gli chiede di aiutarlo: ogni settimana Romeo dovrebbe andare a vedersi una partita di Serie A, meglio se di Milan o Inter, per segnalargli eventuali episodi poco limpidi a livello di direzione arbitrale. A questo scopo gli consegna un telefonino con in rubrica due numeri suoi e due di Fabiani: quel telefonino è una sorta di rimborso spese, glielo dà per invogliarlo a chiamarlo e a fornirgli informazioni. Quanto a suo figlio, che pure fa l'arbitro in serie A, Romeo ieri in aula è stato molto chiaro: sia lui che Moggi si impegnano a vicenda affinché quel loro rapporto non interferisca con l'imparzialità di Gianluca, che tengono all'oscuro. Che in quel telefonino ci sia una SIM straniera, Romeo manco se ne accorge, non conosce nemmeno i numeri che chiama, lui vede solo la rubrica con i nomi di Luciano 1 e 2 e Angelo 1 e 2 (qualche dubbio gli viene quando ascolta i messaggi preregistrati in lingua straniera, ma non ci perde molti pensieri); a volte userà quel cellulare anche per telefonate normali con parenti o conoscenti, quando ha problemi con quello suo personale. In generale, Romeo racconta di un Moggi che quando parla della rivalità con le milanesi e le romane, più che il dg della Juve, ne sembra il primo tifoso.
Arriva il 6 novembre 2004, giorno di Reggina - Juve, arbitro Gianluca. La Juve perde, ma reclama per un rigore solare e un gol annullato (Romeo ieri ha detto "uno", in realtà i gol annullati alla Juve furono due..). Come sempre, dopo la partita Romeo sente Gianluca, il quale si lamenta con lui per la scenata di Moggi e Giraudo, soprattutto perché gli fanno capire non credono alla sua buonafede. E' offeso, Gianluca. Comunque, dopo la prima sfuriata, i due juventini si ripresentano nel camerino insieme al presidente della Reggina Foti, e in questa seconda visita si raddolciscono: dalla tv si è visto che il gol annullato all'ultimo minuto in realtà era davvero fuorigioco. Gianluca, gli assistenti e il quarto uomo decidono di non refertare la sfuriata di Moggi e Giraudo, ma attenzione, NON per paura di ritorsioni (come si disse durante Farsopoli), ma perché lo reputano inutile, dato che la squalifica di un dirigente alla fine non ha alcuna ripercussione sostanziale (per qualche partita perde il diritto di andare negli spogliatoi con la squadra e finisce lì).
Gianluca resta a dormire a Reggio, sperando di incrociare la mattina dopo in aeroporto i dirigenti della Juve e rimproverarli per il loro atteggiamento, per dir loro a muso duro che, capitasse un'altra volta, reagirebbe ben più duramente. Ma non li incontra. Domenica è a pranzo da papà, il quale fin da sabato sera ha visto che in TV tutti attaccano il figliolo. Se ne parla a tavola e si sospetta che ci sia dietro Moggi. Nel pomeriggio, Romeo sprona il figlio a chiamare il dg della Juve, in modo da fargli capire che intende reagire all'attacco mediatico, oltre che per rimproverarlo per la scenata dello spogliatoio. Ma il numero di Moggi non ce l'hanno (quello italiano, che gli aveva dato a maggio a Torino, Romeo non ce l'ha più). "Anzi, aspetta, c'è quel cellulare consegnato a Napoli, ecco, si può usare quello". Romeo prova a chiamare una prima volta i due numeri di Luciano in rubrica, ma quel diavolo non risponde a nessuno dei due. Allora prova con Angelo, che invece risponde e si dice disponibile ad aiutarlo. Così, più tardi, Fabiani lo richiama: "Ora è libero: prova, Romeo". Ma, come sappiamo, in quel momento Lucianone non era esattamente libero, era a un altro telefono (intercettato) con un'amica, forse quella stessa con cui il giorno prima, subito dopo la partita, ancora incazzato, aveva fatto il fanfarone, dicendole di aver chiuso l'arbitro nello spogliatoio e di essersi portato la chiave in aeroporto. Comunque, Romeo non lo sa: "Ciao, Luciano, ti passo un attimo mio figlio ". Gianluca: “Senta, vorrei dirle…” ma Moggi lo interrompe, gli scarica addosso 10 secondi di rabbia e poi gli chiude il telefono in faccia. 10-15 secondi di chiamata, non di più.
A quel punto, Romeo consiglia al figlio di riprovare nei giorni successivi. Gianluca deve partire per la Romagna, così gli presta il cellulare napoletano. L'arbitro se lo porta con sé e al ritorno, pochi giorni dopo, lo restituisce al padre. Ma non gli racconta di alcuna telefonata con Moggi, probabilmente manco l'ha usato.
Questa è la vera storia di uno dei capisaldi della bufala del 2006. Altro che rapimento di Paparesta, altro che intimidazioni. Altro che referti non scritti per paura di ritorsioni. Tutte balle, di gente in malafede, che odia la Juve e da anni aspettava un'occasione del genere.
Un altro episodio interessante chiarito da Romeo Paparesta riguarda la famosa intercettazione delle griglie tra Moggi e Bergamo, nella quale Moggi disse al designatore che Gianluca la giornata successiva sarebbe stato designabile perché, benché in settimana impegnato all'estero, lui sapeva che sarebbe tornato venerdì. Romeo chiarisce di aver dato lui stesso quell'informazione a Moggi, che aveva sentito per altri motivi in quei giorni; in realtà è un'informazione sbagliata (come per altro in quella telefonata Bergamo fa notare a Moggi), perché Paparesta tornerà invece il sabato.
Dunque, Moggi dà a Romeo Paparesta dei cellulari per invogliarlo a fargli da osservatore degli arbitraggi delle concorrenti, in particolare Inter e Milan, convinto com'è del loro potere eccessivo sul mondo arbitrale. In generale, Romeo racconta che con Moggi e Fabiani si sentiva con cadenza settimanale, sempre in relazione all'osservazione delle partite, e che con i due cercava sempre di far valere l'argomento della buona fede degli arbitri. Ecco perché è facile associare i tabulati di molte SIM svizzere agli arbitri: perché chi le usava era spesso negli stessi luoghi in cui c'erano delle gare da dirigere o dei meeting del settore.
Romeo ricorda poi che Moggi si lamentava spesso dei designatori e non si fidava di loro. Stiamo parlando di Pairetto e Bergamo, i due presunti "associati a delinquere" che con lo stesso Moggi, secondo l'accusa, avrebbero truccato i campionati per favorire la Juve. Più scagionante di così...
E per finire, ecco un altro bel colpo al teorema della cupola, secondo il quale Moggi aveva il potere di interferire illecitamente nella politica federale e nel mondo arbitrale: Romeo Paparesta, dopo aver passato tutto il campionato 2004-05 in frequentazione telefonica di un mammasantissima come Moggi, che tanta influenza, a dire di Lanese, aveva su Carraro, avrebbe tutto il diritto di aspettarsi di ottenerne infine gli sperati benefici.
Arriva l'estate 2005, vengono decisi i nuovi incarichi nella CAN. Il pm domanda a Romeo: "Ottenne l'incarico?".
"No, anzi, venni a sapere che il mio nome venne proposto, forse grazie alla mia frequentazione di Moggi, ma proprio Carraro diede parere negativo".
Clamoroso in aula: per il padre di Paparesta son tutte leggende
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