Benvenuti a Farsopoli: da A. Carbone fatti irrilevanti e non pertinenti

cantanapoliIrrilevanti e non pertinenti. Così il giudice Teresa Casoria, con un certo fastidio, ha bollato le testimonianze rese da Armando Carbone, agente di commercio, incredibilmente trasformatosi in grande accusatore del "sistema Moggi". Un personaggio da noi raccontato in anteprima e voce unica nel panorama informativo nazionale, ai tempi della pubblicazione delle intercettazioni di quella che fu chiamata Calciopoli 2.
Ed è proprio questo il punto. Una deposizione evidentemente contraddittoria e affatto circostanziata, riferita a fatti avvenuti nel lontano 1986, ha consentito ai magistrati napoletani di intercettare, a distanza di più di un anno dalla fine delle indagini, Luciano Moggi e altri indagati del processo: il GIP che ha autorizzato quelle intercettazioni ha di fatto consentito lo spreco di denaro pubblico sulla base di dichiarazioni "irrilevanti e non pertinenti". Questa la notizia del giorno.
Carbone si è dimostrato personaggio da commedia dell'arte, volenteroso nel ricordo ma solo fino a un certo punto, pronto a contraddire le dichiarazioni rese a verbale, mai in grado di circostanziare alcuna delle sue testimonianze. Un personaggio che ha scatenato l'ilarità dell'aula, e l'evidente irritazione del giudice per il suo comportamento.
La sua deposizione è tesa a confermare i fatti raccontati e messi a verbale il 20 maggio 2006 davanti ai magistrati di Napoli.
Si qualifica come agente di commercio, con orgoglio rappresenta le più grandi firme di abbigliamento. Qual era il suo ruolo all'interno del mondo del calcio? "Aiutavo le società a salire di categoria nei vari campionati.", instradato alla singolare attività da tale Geggio Caciotti di Brescia, così racconta. Tiene a chiarire che la vicenda per cui fu implicato e arrestato, il calcioscommesse dell '86, non riguardava affatto le scommesse. Tiene a precisarlo con una certa foga e anche con qualche tecnicismo: "Mai bancato scommesse". Ammette invece con sconcertante candore la sua attività di aggiustatore di partite: arbitri e giocatori a busta paga, per indirizzare le partite come richiesto. Un'attività non spontanea, tiene a chiarire, ma con una forte domanda da parte dei presidenti. Infatti: "Avevo creato un giro che aveva in mano arbitri e calciatori da poter corrompere." Giusto alla bisogna.
Racconta di un complotto ordito da Moggi insieme ai giudici Marabotto e Laudi, nella vicenda calcioscommesse, per estromettere la crema dei dirigenti sportivi italiani: Allodi, Corsi, Janich, Dal Cin. Questi ultimi i personaggi che lo hanno introdotto, cotanto professionista, nel mondo del calcio. Il ruolo nel complotto di Moggi? Determinato da sua personale convinzione, senza riscontro alcuno.
Per la contradditorietà di tale testimonianza, vedasi il nostro precedente articolo: Allodi fu assolto e le sentenze statuirono che mai aveva conosciuto il Carbone, nonostante egli si presenti a verbale come suo "uomo occulto" e ne vanti un'intima conoscenza. Il Napoli non fu penalizzato, grazie appunto a questa interpretazione dei fatti. Colmo dei colmi, con una penalizzazione inflitta al Napoli, quell'anno lo scudetto lo avrebbe vinto la Juventus!
Ma andiamo avanti. Marabotto rifiuterebbe di ascoltare la sua deposizione nei confronti di Moggi, accusato di averlo contattato per aggiustare un match di Coppa Uefa, Torino-Hajduk Spalato, nella stagione 1985/86 , attraverso la corruzione dell'arbitro. Carbone non ha intenzione di circostanziare modalità e entità del presunto pagamento, ma aggiunge che la partita terminò in pareggio (1-1), risultato utile al Torino per passare il turno.
Peccato che quella era la partita di andata, e al ritorno in Dalmazia i croati vinsero 3-1, mandando il Toro a casa.
Juventus-Aston Villa 2-1 un'altra partita per cui il Carbone fornì l'arbitro. Dal Cin, cioè l'altro supertestimone di questo processo, cotanto professionista, avrebbe fornito il contatto con la dirigenza juventina, identificata in Morini, salvo poi estromettere dall'affare il Carbone. Naturalmente, nulla sa quanto ad entità e modalità del pagamento.
Ma l'assurdo, per un'aula di tribunale, si tocca poco dopo quando il Carbone accusa il Moggi non di aver compiuto un illecito, ma del rifiuto di compiere un illecito. Moggi non è un uomo d'onore. Con assoluto candore, Carbone rinfaccia a Moggi di non aver ottemperato a un debito nei suoi confronti, contratto dalla precedente gestione del Calcio Napoli, allorchè divenne direttore sportivo del team partenopeo.
E' con malcelato fastidio che racconta di come un vecchio dirigente del Napoli, Pasquale Carbone, gli abbia offerto 200 milioni di lire per ottenere il suo silenzio davanti all'ufficio indagini, e di come Moggi, nel frattempo subentrato, non abbia onorato l'illecito, facendosi negare dal Carbone (Armando), che lo importunava ripetutamente nel garage dove parcheggiava la sua automobile.
Uomini di Moggi sarebbero, secondo lui, Giorgio Perinetti, ora ds del Bari, e Luciano Tarantino, suo vice, pedine occulte ("oscure" nel suo claudicante italiano) del sistema. Il secondo viene indicato come persona che si occupa dei pagamenti in nero. La prova? Un assegno circolare che testimonia di un prestito di 10 milioni di lire effettuato dal Carbone in favore del Tarantino. Che ci azzecca? Niente, appunto.
Il Tarantino gli avrebbe inoltre confidato dell'integrità a un presunto sistema del generale Italo Pappa, ex capo Ufficio Indagini. Naturalmente, come in ogni altra dichiarazione resa, non è in grado di circostanziare con date e luoghi, la confidenza o millanteria di Tarantino, e il motivo della loro conoscenza. Carbone continua ad accennare alla GEA, mostrandone assoluta ignoranza rispetto ai fatti principali, data di fondazione e di attività, giungendo persino ad affermare a mezza bocca che il trasferimento di Ferrara sia stato effettuato dalla GEA, non esistente, all'epoca dei fatti, nemmeno in nuce.
Alla richiesta di conferma da parte dell'avv. Prioreschi, smentisce subito con faciloneria: "Noooo, noooo, non lo so.". E' commedia. E il giudice se ne stanca. Invita teste e pm a concentrarsi su questioni attuali e concernenti al processo.
Le testimonianze del Carbone vanno invece a parare ancora sulle intercettazioni del 1986, atti per altro non appartenenti al processo. Gli avvocati protestano, Beatrice si arrabbia. Il giudice Casoria invita a non agitarsi, dando ad intendere, come spiegherà più tardi, che ha "inquadrato" il soggetto.
Il controesame degli avvocati difensori è spietato. Carbone infila una serie di contraddizioni evidenti rispetto ai verbali del 20 maggio. Quando messo in difficoltà rispetto alla contradditorietà con i fatti realmente accaduti (quelle stesse contraddizioni da noi evidenziate nel nostro precedente articolo) si rifugia continuamente in "non ricordo", che appaiono tanto più comici in un testimone che muove le sue accuse da fatti accaduti nel 1986.
L'incalzare di Prioreschi mina la credibilità del testimone, che offre cambiamenti di versione rispetto al verbale e confusione nei ricordi, ma a piazzare il colpo definitivo è l'avvocato Trofino che ricorda come, in seguito alla sua prima deposizione del 20 maggio, si fosse impegnato a produrre atti e ulteriori testimonianze che circostanziassero e confermassero le sue accuse. Un secondo incontro con i magistrati non ci fu mai, a testimoniare dell'assoluta genericità, gratuità e inconsistenza delle sue prime dichiarazioni, curiosamente rese in modo spontaneo davanti all'autorità giudiziaria.
Gli avvocati chiedono dunque di sentire altri testimoni, tra cui il Tarantino, per testare la credibilità di questa deposizione.
Il giudice Casoria non vede ragione, stante l'irrilevanza e non pertinenza della testimonianza resa.
Insomma, il dossier Carbone ha già incontrato la fine che meritava e che, unici in Italia, avevamo già sottolineato.
Prima vittoria, quindi, delle difese e clamoroso autogoal dell'accusa.
Ma non basta: i Pm napoletani hanno richiesto e ottenuto l'autorizzazione ad intercettare in base a queste inconsistenti dichiarazioni, bocciate come assolutamente irrilevanti, dopo 30 minuti di udienza.
Dichiarazioni assolutamente generiche e mai circostanziate che necessitavano conferme vere e documentali, che non sono mai arrivate.
C'era da ridere ad ascoltare Carbone, e in molti lo hanno fatto.
Noi siamo a chiederci invece con che coraggio il GIP abbia disposto intercettazioni in base alla sua parola. Un clamoroso caso di cattiva gestione della giustizia, che dovrebbe essere di insegnamento a tutti.