Beatrice e NarducciSono in pochi a chiederselo, eppure bisogna. Come diavolo ha avuto inizio l'inchiesta della Procura di Napoli che ha poi portato allo scandalo o farsa dell'estate del 2006 e alle richieste di rinvio a giudizio per associazione a delinquere per Moggi, Giraudo, Bergamo e gli altri imputati?
In principio furono le scommesse. Il ciclico ritorno del calcio-scommesse: fenomeno antico per il calcio, mai debellato. Una volta era il totonero, oggi le scommesse legali, incoraggiate, finanche sponsorizzate sulle stesse magliette dei calciatori. Scommesse facili, immediate: alla ricevitoria, su internet, attraverso i decoder delle pay-tv. Un giro d'affari dal volume impressionante: tra i 2 e i 3 miliardi di euro all'anno.
Le scommesse che hanno il loro centro a Napoli, e di qui l'indagine della Procura affidata ai solerti Beatrice e Narducci.
La stessa Napoli del calcio-scommesse del 1985, quello di Armandino Carbone e di Italo Allodi. Napoli che allora non verrà toccata, grazie alle viscosità del processo sportivo e al gran rifiuto dello stesso Carbone. Napoli che, a sentire il Carbone dei giorni nostri, non più un oscuro faccendiere ma un testimone chiave per dare il via alle intercettazioni, probabilmente era colpevole. Poi vai a pensare che, stranezze della storia, da tutta questa odissea giudiziaria l'unico scudetto da revocarsi, stando agli atti, è proprio quello del Napoli del 1986/87, dato che Carbone afferma ora di avere mentito per evitare sanzioni alla squadra partenopea. E la storia è talmente buffa che ad arrivare in seconda posizione quell'annata fu proprio la Juventus. La Juve di un ultimo grande Platini. Il Napoli era quello di Maradona e di Allodi. E siccome non è nostro uso violentare la storia del calcio, lasciamo che sia così. Lo scudetto di Maradona e Allodi rimanga al Napoli, e non perchè ampiamente raggiunti i termini di prescrizione. Ma perchè è giusto: quel Napoli di diritto, sul campo, è entrato nella storia del calcio. Grazie a Maradona. E anche grazie a Allodi, ai cui maneggi o alla cui abilità pagano tributo anche la Juventus ma sopratutto quell'unica Grande Inter.
Ma rimaniamo a Maradona. Maradona che incanta. Maradona che si droga. Maradona che si lega a personaggi poco raccomandabili. La foto: Maradona in compagnia di due uomini in una villa, sorridono sdraiati in una vasca idromassaggio a forma di capasanta. Più tardi si scoprirà: era la villa dei Giuliano.
I Giuliano, anche loro ritornano. Depongono infatti davanti a Narducci. Il contenuto è esplosivo.

L'indagine sulle partite truccate per procurare guadagni illeciti ai bookmaker nasce quattro anni fa dopo le rivelazioni ai magistrati di tre pentiti eccellenti: Raffaele, Carmine e Guglielmo Giuliano, fratelli del boss della camorra di Forcella Luigi Giuliano. E l'inchiesta, scaturita dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia e condotta dal pm napoletano Giuseppe Narducci, dice che fin dal 1995 il boss Luigi aveva fiutato come più redditizio rispetto al totonero il giro delle scommesse legali, se pilotato. Guglielmo Giuliano, in particolare, disse agli inquirenti che gran parte del settore delle agenzie era controllato dalla camorra attraverso titolari che erano prestanomi. Il fratello Raffaele precisò che le quote stabilite per le partite nelle scommesse derivavano da un accordo a tavolino tra vari capoclan, come già sperimentato durante i Mondiali di calcio del '90.
 
Una vera e propria bomba perchè a Napoli sul rapporto calcio-camorra-scommesse si è scritto parecchio. Si è scritto di uno scudetto, quello del 1987-88 (per altro l'unico mai vinto da un certo Conte Eiacula), deciso dalla camorra. Con un Napoli in fuga, imprendibile, stratosferico che all'improvviso frena, accosta e si fa superare dal Milan di Sacchi.
Primo segreto di Pulcinella: la camorra gestisce un lucroso giro d'affari incentrato sulle scommesse clandestine. E la vittoria finale del Napoli è pagata a quote stratosferiche, fino ad arrivare a 1 a 13. E naturalmente, spinti dalla passione, molti napoletani scommettono.
Secondo segreto di Pulcinella: il Napoli lo scudetto lo sta per vincere davvero. E le quote delle scommesse non accennano a calare, anzi.
Stando alle dichiarazioni rese dal pentito Pugliese, ex autista di Maradona, si parlerebbe di terribili pressioni e minacce sul fuoriclasse argentino affinchè abdichi al suo ruolo di trascinatore e consenta il sorpasso che farebbe segnare un attivo impressionante nei "conti sportivi" dei clan camorristici.
Si adombrano complotti politici, strani furti e danneggiamenti subiti dal Pibe de Oro, fino a ricatti terrificanti per ottenere il silenzio come, secondo Pugliese, il trafugamento della salma della figlia di Salvatore Bagni. Scenari a dir poco inquietanti che si esauriscono in fiumi di dichiarazioni presso le Procure, ma non sfociano in un processo.
In tutta questa storia, la famosa pubblicazione travagliesca non trova niente di meglio che imputare colpe a Luciano Moggi, allora ds del Napoli, perchè non abbastanza vigile nell'intuire i rapporti tra la camorra e i giocatori del Napoli. In realtà il nome Moggi non compare da nessuna dichiarazione e anzi sarebbe parte lesa. Ma il moderno Savonarola, di fronte a tanto, gli imputa proprio il fatto di non comparire affatto in alcuna parte dell'inchiesta. Misteri della fede giustizialista.
Il fatto che ci interessa comunque è l'attività incessante della camorra, e del clan Giuliano, nel settore delle scommesse clandestine, nonostante le inchieste degli anni precedenti. Un'attività gestita a livelli altissimi. Un'attività che, secondo le deposizioni dei Giuliano al Pm Narducci nell'ambito dell'ultima inchiesta sul calcioscommesse, non è mai cessata, ma si è trasformata sfruttando il business delle scommesse legali, inaugurato dallo Stato senza pruriti moralisti.
Un altro caso eclatante, e di fatto finito nel nulla, fu quello della finale di Coppa Campioni tra Olympique Marsiglia e Milan. A gettare ombre sulla genuinità del risultato finale fu Papin, velatamente accusando non meglio identificati compagni di essersi venduti la partita. In questo caso l'infiltrazione camorrista è rivendicata da un boss, Michele Zaza O' Pazzo. Tra i pochi eletti a potersi fregiare della doppia carica di boss camorrista e affiliato a Cosa Nostra, il capoclan dedito al contrabbando di sigarette, allora di stanza a Marsiglia, al momento del suo arresto in Francia puntò il dito contro la società del Milan, rea di essersi venduta la partita. E lui che ne sapeva? Sosteneva di essere niente di meno che il mediatore tra le due parti. Fu liquidato come da soprannome, nonostante una carriera ai vertici della criminalità organizzata a garantire per la sua lucidità mentale.
Con l'avvento definitivo del calcio-business, di camorra e di scommesse non ne sentiremo più parlare, a parte l'isolato episodio di un Atalanta-Pistoiese, in cui finirono sotto inchiesta tra gli altri Doni e Zauri, per poi uscirne indenni.
Il calcio-business è anche business legalizzato delle scommesse. Le fanfare seguono il ritmo del denaro: si sostiene che legalizzando il fenomeno, scomparirà il totonero e tutte le sue illecite conseguenze. In pratica lo scommettitore potrà mettere a repentaglio il proprio patrimonio, distruggere la propria famiglia e magari poi mettersi nelle mani degli usurai, ma ad incassare sarà lo Stato e non la camorra. Le partite naturalmente non potranno essere taroccate perchè per scommettere bisogna registrare la propria identità e per i calciatori le scommesse sono vietatissime. Naturalmente con un pizzico in meno di ingenuità, basta un collettore di scommesse, un prestanome che raccolga i soldi dei giocatori, e la sostanza non muta, come evidenziato ad esempio dalla recente inchiesta di Udine. Sosterrebbero infine i teorici della scommessa legale che il calciatore in quanto destinatario di uno stipendio esageratamente ricco non avrebbe incentivo a scommettere. Per sconfessare questo assurdo teorema, vedasi l'opera omnia di Sigmund Freud o gli accertamenti tributari delle Procure che hanno indagato il fenomeno.
E' in questo periodo che segna la grande ascesa delle scommesse legali e un vuoto di inchieste sul calcioscommesse che nasce l'inchiesta della Procura di Napoli originariamente orientata a comprendere i rapporti tra la camorra e le scommesse sulle partite di calcio. Come abbiamo letto nell'estratto precedente, l'inchiesta nasce 4 anni prima degli addebiti mossi a vari calciatori e dirigenti, poi quasi tutti archiviati, che poi porteranno in modo piuttosto discutibile all'avvio dell'inchiesta poi giornalisticamente chiamata Calciopoli.
E' del 2001 infatti la dichiarazione ai Pm Beatrice e Narducci del pentito di camorra Salvatore Rezzuto, come riporta Repubblica:

NAPOLI - Torna il sospetto del calcioscommesse. Un pentito di camorra racconta di partite truccate. E sembra riferirsi alla stagione '98'99. La Procura, doverosamente, indaga. Il pentito faceva parte del clan Giuliano di Forcella ed era una pedina del totonero. Sostiene di avere saputo da chi raccoglieva le scommesse che alcuni match erano combinati. Il pentito si chiama Salvatore Rezzuto e ricorda solo un match dell'Inter in trasferta, data per sicura vincente. Il suo informatore lo assicurò che, invece, sarebbe finita in pareggio. E così fu, aggiunge Rezzuto, perché sarebbe stato tutto combinato. Praticamente tutti gli scommettitori puntarono sulla vittoria nerazzura e persero. Inchiesta giudiziaria affidata ai pm Beatrice, Narducci e Policastro. Nessun indagato al momento, né alcuna colpevolizzazione per la società calcistica citata dal pentito. E' tutto da verificare. Già un anno fa un altro pentito del clan Giuliano aveva parlato ai pubblici ministeri di incontri falsati.
 
Le scommesse, la camorra, i calciatori. Eccola la vera Triade.
Due bravi magistrati si mettono al lavoro.
Vedremo nella prossima puntata con quali risultati.