Esterofilia all'ultimo stadio

MourinhoNe sono arrivati molti, tanti. Chi accreditato come l'uomo che avrebbe lasciato un segno ed un segno non l'ha lasciato e chi, annunciato con diffidenza come meteora di un calciomercato sbagliato, è rimasto a gravitare nel calcio italiano per anni.
A prescindere dalle alterne fortune degli stranieri approdati nel nostro calcio, calciatori o allenatori che siano, il metro di valutazione di televisioni e giornali del nostro Paese nei confronti dei nostri "indigeni" è sempre stato: l'erba del vicino è sempre più verde.
Sulle panchine italiane si sono seduti i più variopinti allenatori del resto del globo; fatta eccezione per Helenio Herrera (Inter anni '60), Nils Liedholm (Milan-Roma anni '80), Vujadin Boškov (Sampdoria anni '90) e Sven Goran Eriksson (Lazio fine anni '90), in pratica un solo tecnico vincente ogni 10 anni, il resto potrà passare agli annali come "non pervenuti".
L'elenco è quasi infinito: César Luis Menotti e David Platt (Sampdoria), Carlos Bianchi e Zdenek Zeman (Roma), Luis Suarez, Roy Hodgson, Mircea Lucescu e Héctor Cúper (Inter), Fatih Terim (Fiorentina-Milan), Luís Vinício, Juan Carlos Morrone e Juan Carlos Lorenzo (Lazio), questi coloro che si sono seduti sulle panchine italiane di maggior prestigio; gli altri non li nominiamo nemmeno. Annunciati dagli squilli di tromba e vezzeggiati mediaticamente dalla stampa italiana hanno fatto le valige senza nulla dentro, nonostante il loro approdo in Italia avesse generato, anche nelle tifoserie, la speranza che il nuovo "guru" di turno mostrasse la vera identità nascosta del calcio (e per fortuna che l'Italia vanta 4 vittorie mondiali per nazione).
Nonostante questo, a distanza di anni e con la storia a parlare chiaro, "il vizietto", i nostri media continuano a non perderlo, anzi, con l'inizio della stagione agonistica 2008/09 il livello si è spostato oltre.
La venerazione attuata nei confronti di "the special one", al secolo Josè Mourinho, è ciò che rimane della prima giornata del campionato italiano.
Le cronache hanno raccontato di uno schieramento, nell'anticipo serale del sabato, di circa 50 fotografi a bordo panchina, prima dell'inizio del match tra Sampdoria-Inter; questo mette a nudo tutta la nostra esterofila.
Anche Teo Teocoli, alla Domenica Sportiva, ha criticato questo atteggiamento, evidenziando come, nonostante si parlasse di calcio giocato, le immagini proposte mostravano più ogni sfumatura del viso di Mourinho che le azioni della gara.
Nel dopo gara, ai microfoni si Sky, si ci è lasciati addirittura andare ad un "noi pendiamo dalle sue labbra".
Poi qualcuno si domanda ancora come mai chiunque è felice di approdare nel nostro Paese.
Premesso che non vogliamo discutere sulle eventuali qualità del tecnico portoghese, ci pare oltremodo eccessivo idolatrare un personaggio, perchè principalmente di personaggio si tratta, che tutto sommato nella sua pur giovane carriera ha vinto sì, ma non stravinto.
In Portogallo alla guida di Benfica e Uniao Leiria non ottiene nessun risultato di rilievo, ma nel 2002 ha la grande occasione, allenare la seconda squadra più vincente e titolata del Portogallo: il Porto.
Con il Porto ottiene la vittoria del campionato (il Porto è la seconda squadra con più titoli nazionali del proprio Paese, dietro al Benfica, con 23 vittorie e, nel dopo Mourinho, ha ottenuto, nonostante la cessione degli elementi di maggior spicco, 2 vittorie e un secondo posto in tre anni), della coppa nazionale (anche in questo caso la squadra di Oporto detiene 17 trofei nella bacheca societaria) e della coppa U.E.F.A (prima vittoria nella competizione dall'anno di fondazione).
Nella stagione successiva si aggiudica nuovamente il campionato e arriva in maniera insperata la vittoria nella massima competizione continentale, la Champions League, in una stagione alquanto anomala (ai quarti di finale furono eliminate le maggiori pretendenti al titolo finale come Milan, Real Madrid, Arsenal e la rivelazione Lione), che vide come finalista l'altra sorpresa targata Didier Deschamps, il Monacò.
La stampa definì, allora, storico il raggiungimento di tale risultato, dimenticando, forse, la Coppa dei Campioni ottenuta dai "Draghi" di Oporto nella finale contro il Bayern di Monaco della stagione 86/87, era il Porto di Futre, Joao Pinto, Madjer e dell'"italiano" Juary, autore della rete decisiva nella finale.
Insomma un biennio sicuramente vincente, ottenuto allenando una squadra cosidetta "grande" e senza comunque portare nulla di innovativo nel panorama tecnico-tattico europeo.
Tali risultati lo fanno approdare al Chelsea del magnate Roman Abramovic, ambizioso presidente dei londinesi che mette a disposizione del tecnico sterline e campioni.
I risultati arriveranno, ma solo in patria, con le vittorie in Premier League, nel 2004/05 e 2005/06, e una Coppa di Lega.
Nella stagione 2006/07 il Chelsea, ancor più rafforzato con campioni pagati a peso d'oro, resta in lizza per tutta la stagione su più fronti, ma alla fine si dovrà accontentare delle vittorie, sempre in patria, di Coppa di Lega e F.A. Cup, battuto dagli uomini di Fergusson in campionato e dal Liverpool di Benitez in semifinale di Champions League.
Roman Abramovic comincia a storcere il naso, tante, troppe sterline, spese per vincere solo in patria, quando gli obbiettivi di inizio stagione erano quelli di costruire una super armata per spadroneggiare in Europa.
Così nella stagione 2007/08, dopo un inizio disastroso, Mourinho ha risolto di comune accordo con la società il proprio contratto. Alla base delle dimissioni ci sarebbe stato un rapporto non ottimale con il presidente.
Per la cronaca, Avraham Grant, il sostituto di Mourinho, porterà per la prima volta nella storia del club il Chelsea alla finale della Champions League, persa ai rigori contro i rivali degli ultimi 10 anni del Manchester United, ottenendo anche il secondo posto nella Premier League.
Le vittorie dei titoli nazionali ottenute con due grandi squadre dei rispettivi Paesi e una sola affermazione a livello europeo, sono riuscite a far diventare "the special one" (in Inghilterra si definì "il dopo Dio"), nel nostro Paese esterofilo, un Dio completo, l'ennesimo "guru" giunto ad insegnarci il gioco del calcio.
Per fortuna che abbiamo attualmente un tecnico Campione del Mondo (Marcello Lippi), un altro c.t. che siede sulla panchina di coloro che sostengono da sempre di essere gli inventori del gioco del football (Fabio Capello, c.t. Inghilterra) e un emergente di nome Walter Mazzari che ha stupito "the special one" mettendo in una nuova posizione il centrocampista Palombo (convocato dal tecnico Campione del Mondo in Nazionale), facendo saltare l'intero centrocampo della squadra campione d'Italia.
Purtroppo Mazzarri non è di origini portoghesi, altrimenti sarebbe il prossimo sogno ero(t)ico di Abramovic o di Moratti.
 
Signori giornalisti e cameramen italiani, le prossime domeniche, evitateci quella scorpacciata in salsa "portoghese" che sconfina nella bulimia.

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