L'ennesimo capolavoro di mediocrità

ranieriDue settimane di proclami, due settimane di tabelle, due settimane di speranze come sempre crollate nel vuoto. Scusateci, riconosciamo di essere patetici nel ripetere continuamente le stesse cose, ma non possiamo farne a meno. Al solito, quando la squadra di quel signore che siede sulla panchina bianconera deve saltare l’ultimo gradino, frana e lascia una sensazione di frustrazione ed amarezza. Non ci stancheremo mai di ripetere quanto la storia abbia il suo peso. E la storia dell'ex allenatore di Chelsea e Valencia è riassunta in questa partita. La storia di un mediocre che arriva ad un passo dal giocarsi qualcosa, in qualunque squadra sia stato, e puntualmente sbraga. Che senso ha impostare una partita che doveva essere giocata con il sangue agli occhi in modo così prudente, passivo, senza cuore. La formazione iniziale era indicativa in tal senso. Del Piero, l’uomo sul quale si dovrà ricostruire la Juve del futuro (parole di quello che spacciano per il massimo dirigente juventino), in versione recente è un peso morto. Ce n’eravamo accorti di recente, a nulla erano valsi i due gol a risultato acquisito contro il Bologna. Ma, evidentemente, il peso del numero 10 in società e spogliatoio è tale che, pur giocando in maniera inguardabile, il posto gli è garantito. Sempre. Oggi e pure per il futuro, a giudicare dalle voci che filtrano da Radio Mercato, secondo le quali le trattative per eventuali concorrenti al ruolo del quasi 35enne di Conegliano, sarebbero state congelate a causa di particolari veti posti dall’interessato. E il suo pavido allenatore obbedisce. L’incisività di Del Piero è pari a zero, la sua testardaggine mista ad egoismo sono tipiche dei momenti in cui è in apnea. Semplicemente nocivo. Immaginiamo la sua soddisfazione per l’avvenuta sostituzione durante l’intervallo, lontano dalle telecamere e senza giubbotti da lanciare all’indirizzo del mister, che con lui più di tanto non può prendersela. Ma a Del Piero tutto è concesso. Invece in panchina c’è uno come Trezeguet, 6 gol in carriera al Chievo e subito pericoloso quando subentrato, che però da un mese a questa parte è trattato a pesci in faccia con una ferocia che puzza di profonda premeditazione e opportunismo. L’opportunismo tipico di chi non vede l’ora di liberarsi di lui e del suo ingaggio, per far posto a una qualsiasi delle mezze figure in procinto di trasferirsi a Torino. Un atteggiamento da piccola squadra, fastidi e capricci da uomini piccoli piccoli, senza carattere ed umiltà. Che senso ha insistere su un Tiago ritornato nelle ultime settimane (dopo alcune apparizioni appena decenti in qualche gara invernale) ai livelli osceni del suo standard abituale, lasciando in panchina Nedved, l’altro sul quale tutti in società si impegnano a parole perché non ritorni sui suoi propositi di ritiro, ma che è preferibile al portoghese anche se giocasse con le stampelle. Su Buffon, bisogna parlare seriamente. Buffon è ormai una figurina, come quelle che per anni hanno collezionato le milanesi pretendendo di vincere solo per i nomi e le carriere esibite da certi elefanti onusti di gloria. L’ex miglior portiere del mondo continua con una preoccupante abitudine: sempre più numero 1 a chiacchiere, sempre meno sul campo. Dal suo rientro, nulla ha fatto per rendersi decisivo, nulla ha fatto per giustificare il proprio ingaggio che, parole sue, “se me lo riconoscono significa che lo merito”. Tutt'altro, in diversi frangenti è stato persino deleterio e anche oggi è apparso in ritardo nelle occasioni dei primi due gol subiti. Ma la croce, scommettiamo, finirà addosso al povero Mellberg, che fenomeno non lo è mai stato (è un parametro zero senza esperienza in squadre da titolo) e sarebbe superficiale e ingeneroso inchiodare oggi. Perché le caratteristiche di Pellissier le conosciamo da dieci anni, quelle dello svedese pure. Non è la prima volta che si prendono gol così quest’anno, i due metri che Drogba lasciò ad Olof (al momento della partenza in vantaggio lui di due) meno di un mese addietro non hanno insegnato nulla, signor "tecnico"? Ovviamente la risposta è no, visto il ripetersi cronico di errori sul più bello, una costante della carriera dell'allenatore (???) capitolino. Che prende lezioni di capacità motivazionale, di abitudine alla tensione sul terzo gol, quando ancora Mellberg tenta di portare lontano dall’area un pallone in situazione di pressing avversario, con i compagni tecnicamente più dotati impegnati a guardare la partita e i clivensi aggressivi a crederci fino in fondo. E il piazzamento della difesa e di coloro i quali dovevano coprire il ruolo lasciato scoperto dall’uscita dello scandinavo, è sinceramente, da terza categoria. Perché l’organizzazione in questa squadra non sanno nemmeno cosa sia. Giocatori che si guardano l’un l’altro senza capire cosa devono fare, mentre i Marcolini, i Mantovani, i Luciano, che stanno in fondo alla classifica, giocano a memoria con i giusti tempi e le giuste posizioni. Chi deve dare un minimo di organizzazione alla squadra se non l’allenatore? Allenatore neppure bravo a cogliere i segni della buona sorte, quando l’infortunio di Salihamidzic lo obbliga ad inserire Camoranesi, voglioso e pimpante, decisivo e persino in crescendo nel finale. Ma no, Tinkerman resta la solita formichina, che pensa, pensa, studia, studia ma non ci capisce un’emerita mazza e regala quasi un tempo agli avversari. Indecente. L’unica mossa corretta è stata l’inserimento di Zebina, che comunque, nelle previsioni doveva iniziare la gara, ma, misteriosamente, dopo la positiva prestazione contro il Torino (avversario sul livello del Chievo, non del Barcellona) è stato rimesso in naftalina in favore dello sfinito Grygera. Chissà cosa passa per la mente di quest'uomo. A lui e a tutti i figuranti che gli stanno attorno e nei quadri dirigenziali, soggetti che recano danno alla storia della Juventus, rendendosi simpatici agli avversari, i quali sorridono pensando a quanto quella di oggi sia una squadra ed una società incapace di incutere timore. Quel timore che la Juventus vera incuteva nell’avversario di turno appena scesa in campo, alla sola visione delle proprie maglie, si è trasformato in un invito a provarci sempre e comunque, tanto una generosa mano presto o tardi arriva. Tanti, troppi sono i record negativi stabiliti dalla sorridente gestione del signore romano in questi due anni; dalla Fiorentina vincente a Torino dopo 20 anni al Palermo andatosene da Torino con tre punti dopo 47, dal Cagliari che dopo 41 anni sbanca il Comunale al Chievo che oggi ottiene il primo punto della sua storia sul terreno dei bianconeri. E ci fermiamo qui, per pietà e compassione. Sappiamo già che costoro ci rinfacceranno le solite stronzate, del tipo che veniamo dalla B e che stanno facendo miracoli. Si vergognino, cerchino di capire di calcio e la finiscano di raccontarci bugie, guardino le rose (scarse) dei concorrenti e poi si dimettano tutti. Se vogliamo di nuovo una Juventus di carattere, guerriera e con dignità, una Juve di cui poterci fidare, la prima cosa da fare è cacciare questi signori sul ponte di comando. Allenatore per primo.

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