Pagella 2008-09 /3 Il centrocampo

poulsenIL CENTROCAMPO.

Cristiano Zanetti (non giudicabile) rimane il giocatore più rimpianto di questa stagione.
La valutazione espressa su di lui nel pagellone natalizio purtroppo ad oggi resta invariata.
I suoi proverbiali muscoli di seta, che per due stagioni avevano moderatamente messo giudizio, quest’anno sono tornati a comportarsi come d’abitudine consolidata.
La ripresa nel finale di stagione, seppur improntata al piccolo trotto, se da un lato incoraggia a pensare al futuro in ottica positiva, dall’altro insospettisce sulla volontà di preservarsi in prospettiva di un ultimo, sostanzioso contratto (Cristiano ha 32 anni) da strappare al miglior offerente.
I primi sei mesi di Poulsen (voto 4) avevano fatto sorgere un interrogativo tra i tifosi juventini: cosa ci fa uno come l’impresentabile (e strapagato) danese con quella maglia addosso?
Ebbene, la seconda parte della stagione ha fornito la risposta: il nulla assoluto.
Un golletto facile facile, segnato per grazia ricevuta da Terlizzi a tempo scaduto a Catania, ma per il resto, il buon Christian ha lasciato una continua impressione di pochezza tecnica e una personalità impalpabile, in controtendenza con la sua fama belluina.
Alcuni tocchi, alcuni interventi, alcuni piazzamenti degni da giocatore di terza categoria (dilettantistica) hanno rappresentato in modo esauriente il repertorio di colui che abbiamo ribattezzato “il danese con gli stivali”.
Emblematico un episodio accaduto il pomeriggio di Siena-Juventus, quando l’appena entrato Poulsen, dall’alto della sua visione di gioco a 360°, offrì un pallone allo smarcato Trezeguet, che, a sua volta, era ancora impegnato nell’ultimare il riscaldamento prima di entrare sul terreno di gioco.
Lucido e geniale, non v’è dubbio!
E questo doveva essere più forte di Sissoko e molto più utile di un “lento” Xabi Alonso!
Mille volte meglio Marchisio (voto 7), forse la nota più lieta.
Il ragazzo di Chieri, un piemontese alla Juve dopo tanti anni, parte a fari spenti, è stato spesso frenato dagli infortuni, ma alla distanza ha imposto la propria personalità e il proprio carattere, dimostrando di saperci fare anche in zona gol.
Tre le marcature di Claudio, due delle quali sono valse altrettante vittorie pesanti e la terza ha sancito la certificata qualificazione alla prossima Champions League diretta.
A 23 anni, il giocatore ha ancora notevoli margini di miglioramento, e mantenerlo in rosa, puntando sulla sua crescita, per una squadra che voglia competere per i massimi traguardi, è cosa quantomeno doverosa.
Anche in considerazione del fatto che il ragazzo mostra di sapere cosa voglia dire indossare quella maglia, da lui mai “offesa” con leggerezze, erroracci e, ancor meno, atteggiamenti discutibili.
Un discorso a parte merita Sissoko (voto 6,5). Momo aveva disputato una buonissima fase iniziale di stagione, poi aveva attraversato una fase altalenante con l’arrivo del nuovo anno, con ciò aggiungendo al repertorio alcune topiche clamorose come quella sventagliata suicida contro il Cagliari in un momento di totale controllo del match (leggerezza alla fine costata 3 punti in un momento decisivo della stagione), ma anche prodezze assolute come quella di Palermo.
L’infortunio occorsogli nel finale del derby (sfortuna certo, ma aiutata dall'ennesima perla di Ranieri, che inserì un giocatore a rischio nel finale di gara, perdendolo subito) ha privato la Juventus della sua presenza e soprattutto della sua fisicità. Non sarà solo per questo fattore, certo, ma è un dato di fatto che, senza Sissoko, il rendimento della Juventus (soprattutto della copertura davanti alla difesa) è fragorosamente crollato.
A nostro parere, la coppia Sissoko-Marchisio continua ad avere buonissime prospettive nella Juve del futuro.
Futuro del quale non dovrebbe ragionevolmente far parte Tiago (voto 4, e siamo generosi) al quale assegniamo lo stesso voto dato a Poulsen ma con due aggravanti rispetto al danese: il portoghese che non ride mai chiude ingloriosamente la seconda stagione in bianconero, quindi è recidivo; inoltre, nelle rose allestite in queste due stagioni, Tiago è l’unico componente a non aver mai sporcato il tabellino dei marcatori in nessuna manifestazione, nemmeno per scherzo. Se pensiamo che persino Almiròn, rimasto a Torino giusto sei mesi nel 2007, in Coppa Italia un gol l’aveva fatto, abbiamo ulteriori argomenti per definire come minimo disastrosa l’avventura bianconera dell’ex Chelsea.
Poche partite da sufficienza, nel momento migliore della squadra, non possono rappresentare un'ulteriore apertura di credito per un’ipotetica conferma.
Passati in rassegna i centrali, veniamo ora agli esterni, partendo da Camoranesi, (voto 5,5), l’uomo chiave per la manovra, tartassato come nelle ultime stagioni da guai fisici, vuoi per una muscolatura sempre più fragile (è in buona compagnia, in verità…), vuoi per sfortunatissimi traumi (spalla, costola).
In più, le evidenti frizioni con Ranieri lo avevano reso abulico e spesso vittima di raptus nervosi, che lo rendevano dannoso per la squadra, in particolare quando veniva sanzionato con i (frequenti) cartellini, non di rado di colore rosso.
Al contrario, ha impressionato vedere un giocatore dato in difficoltà e poco preparato fisicamente rincorrere avversari fin sulla linea della propria difesa (sul 3-0 a favore), la domenica successiva all’esonero di Ranieri.
Qualcosa di confortante da un lato (significa che ne ha ancora), da condannare dall’altro: con tutto il bene che vogliamo a Mauro, un professionista deve fare il proprio dovere, sempre. E in particolare alla Juve, un calciatore deve fare il calciatore.
Anche se uno stralunato Ranieri preferiva schierare al suo posto un Marchionni (voto 5,5) sorprendentemente continuo in fatto di disponibilità (da tre anni alla Juve, è il primo in cui l’esterno romano è stato protagonista con una certa regolarità); ma, nonostante alcune buone cose mostrate ad inizio stagione, il piccolo ex empolese ha rivelato tutta la sua modestia nelle occasioni determinanti, nelle partite di prestigio.
Partite nelle quali, sul più bello, Marchionni ha denotato fondamentali imbarazzanti per un giocatore che indossi quella maglia, confermando la teoria di chi lo aveva ingaggiato, e cioè che i parametri zero sono sostanzialmente dei panchinari buoni a far rifiatare i big in certi momenti, e non dei soggetti sui quali far affidamento per costruire qualcosa di serio.
Come per Salihamidzic (non giudicabile), che non ripete la discreta annata passata anche se, rispetto a Marchionni, vanta una carriera da vincente e quest’anno è stato vittima di infortuni a catena, alcuni occorsi in modalità imbarazzanti come spesso è capitato da quella parti in questa sciagurata stagione dello staff medico.
Per finire, Nedved (voto 7, 10 alla carriera), unico, inimitabile e irripetibile. Il ceko, 37 anni ad agosto, gioca una stagione migliore rispetto a quella disputata l’anno precedente, gioca più partite di tutti, timbra il tabellino con la frequenza che tanti attaccanti di serie A nemmeno si sognano e, nonostante la situazione squadra-spogliatoio degeneri, pur annunciando il ritiro non tira mai indietro la gamba.
A fine stagione gli balena l’idea di continuare, ma in società parrebbero pensarla diversamente, riservando un trattamento migliore ad un Cannavaro di ritorno.
Allora decide di chiudere da signore, ringraziando tutti e in particolare i membri del ramo umbertino della Famiglia Agnelli, quelli che l’hanno portato a Torino e che, tra l’altro, sono suoi vicini di casa.
Nedved è rimasto fino alla fine un guerriero, uno juventino vero, cui il destino beffardo ancora una volta ha di fatto impedito di giocare la partita decisiva nella Coppa che tanto ha inseguito e mai raggiunto.
Sei anni fa, fu quel cartellino a 5 minuti dal termine a sbarrargli le porte di Manchester (con i risultati che sappiamo); quest’anno un banale contrasto e una botta al costato dopo pochi minuti gli hanno impedito di giocarsi il match contro il Chelsea.
Il suo addio, consumatosi contro la Lazio (per uno scherzo del destino l’altro suo club italiano), resta una delle pagine più struggenti di questi ultimi anni di Juve, testimonianza di una Juve che non c’è più, quella di cui Nedved incarnava alla perfezione lo spirito grintoso, passionale e mai domo.