26 novembre 1996: When we were champions

del pieroTredici anni fa, più o meno a mezzo giorno, la Juventus diventava campione del Mondo per la seconda volta nella sua storia. Era la serata di Tokyo, quella cui presero parte personaggi quali l'immenso Peruzzi, l'eroe di Roma Torricelli, il dirompente ma maldestro Boksic, soldatino Di Livio, Vladi Jugovic, che quella Coppa l'aveva già vinta 5 anni prima portandosi pure a casa il premio di miglior giocatore.
Era la Juve nella quale era appena sbarcato un extraterrestre, un francese di origini algerine dalla capigliatura rada che distribuiva perle di classe cristallina, ed era anche la Juve dell'altro francese, il piccolo Napoleone che si accingeva a sollevare da capitano tutti i trofei che la sua Nazionale avrebbe conquistato nel bienno seguente. Era la Juventus di Sergio Porrini, discreto mestierante riesumato dall'oblìo cui dobbiamo una Coppa Italia e il raggiungimento di una finale di Coppa UEFA, che quella sera era in campo al fianco di Montero, anche lui fresco di esperienza bianconera. Era soprattutto la Juve di Alessandro Del Piero, che pose la firma più importante della sua carriera su quella partita, un Del Piero già allora centellinato da Marcello Lippi nonostante avesse tredici anni in meno. Del Piero è l'unico superstite di quella squadra ancora in campo oggi, solo che non è la stessa così.
Non può esserlo. A dire la verità ci sarebbe anche Ciro Ferrara, solo che da calciatore ad allenatore il passo è breve solo sulla carta, la realtà è ben diversa. La realtà dice che il posto ideale di Ferrara, oggi come allora, sarebbe quello di difensore centrale. Mannaggia al tempo che passa! La realtà dice che Porrini vale Legrottaglie se non di più, e che il pur gladiatorio Chiellini rende chilometri di grinta, carattere e personalità al leader naturale di quella squadra, Paolo Montero: uno che era amico di Zidane perché fatto della stessa pasta, uno taciturno e abituato a metterci sempre la faccia anche quando esagerava. Uno che, uscendo (espulso) da una partita persa 4-0 a Vigo, reagì ai fischi del pubblico sfidandolo con lo sguardo inferocito e tastandosi i genitali. Per far capire che lui non aveva paura, che non aveva vergogna.
Come Deschamps farebbe impallidire Melo e una qualsiasi delle punte di quel periodo (da Vialli a Ravanelli, passando per Boksic, Amoruso o Vieri, ma pure Padovano) giocherebbe al posto di chiunque tra gli attaccanti odierni, Trezeguet escluso. Gente con le palle, l'esatto contrario dei fantasmi impacciati scesi in campo ieri sera con quella divisa grigia che è emblematica del triste periodo che sta vivendo la Juventus. Juventus che ha celebrato indegnamente l’anniversario di una delle pagine più belle della sua storia, commemorandolo, come si conviene ormai da tre anni e mezzo a questa parte, con esibizioni sconcertanti che purtroppo non fanno più notizia, al pari degli altrettanto avvilenti atteggiamenti nel dopo partita.
Come avrebbe affrontato Montero i compagni che negli ultimi minuti avessero permesso allo Chamakh di turno di colpire indisturbato nella rete di Buffon? Cosa sarebbe successo nello spogliatoio della Juventus, di quella Juventus? Ricordo che la Juve di Montero e di tutti quei mammasantissima elencati sopra, seppur falcidiata dagli infortuni, venne battuta a Rotterdam dal Feyenoord di Julio Cruz, che inaugurò quella sera la sua personale serie positiva contro la Juventus; ma mai uscì dal campo umiliata come accaduto ieri sera, anche perché sapevamo e confidavamo nelle qualità morali di quella squadra, non a caso eletta recentemente dall’UEFA miglior squadra nella storia della Champions League dall’avvento del nuovo formato.
Di quella squadra colpivano il carattere e la personalità, il timore e l’ammirazione che incuteva agli avversari in Italia e in Europa. Ricordo ancora l’aneddoto relativo allo Zio Bergomi, vincitore 3-0 a Torino con la sua squadra in un’eliminatoria di Coppa Italia contro una cosiddetta “Juve 2”, e poi surclassato con un 2-0 in campionato a ranghi completi, risultato bugiardo che celò una superiorità totale, devastante, parente prossima di quella mostrata martedì sera, sempre contro i nerazzurri, da quella che è oggi la squadra più forte d’Europa.
Lo Zio, in previsione della gara di ritorno di Coppa Italia in programma a San Siro, si lasciò andare ad una dichiarazione terrorizzata: “Li abbiamo stuzzicati, forse abbiamo fatto male”. E poco ci mancò che la rimonta riuscisse (in vantaggio per 1-0, ai bianconeri fu negato un rigore clamoroso prima del definitivo pareggio di Ganz), nonostante anche quella volta la Juve in campo fosse imbottita di seconde linee.
Quella era la Juventus, la Juventus fatta di grandi giocatori ma soprattutto di grandi uomini, di persone serie che parlavano poco e usavano lavare i panni sporchi in casa propria.
Dal proprietario all’ultimo magazziniere, passando dal massimo dirigente per finire al Primavera esuberante cui le ali venivano fatte abbassare immediatamente appena si intuiva che stesse andando sopra le righe (vero Grabbi?).
Oggi si cercano i microfoni e le telecamere più che rincorrere gli avversari, e al termine di una serata nefasta come quella di ieri sera il sito di questa poco seria società non trova niente di meglio che esaltare il debutto europeo di tal Ciro Immobile, cui tutti auguriamo ogni bene, ma che in altri tempi sarebbe subito ritornato al suo posto tra i compagni delle giovanili.
E se le frasi di Buffon possono apparire condivisibili e concettualmente inattaccabili, come al solito è sbagliato il contesto nel quale sono state espresse: davanti alla tv, davanti a milioni di telespettatori.
Ancora peggio se questi discorsi vengono fatti da uno come Diego, critico nei confronti dell’allenatore, ma la cui immagine simbolo di questi suoi primi 5 mesi bianconeri non sono tanto i tre miseri gol segnati, quanto l’imbarazzante intervento mancato di pancia-coscia ieri sera.
E questo dovrebbe essere l’erede dei Grandi del passato…
Sembra di rivivere le stagioni di Ranieri, quando le picconate al tecnico romano lanciate a mezzo stampa (o a mezzo immagini “rubate” al campo) contribuirono a destituirlo di ogni tipo di credibilità.
E, in tutto questo, la società tace, non sapendo nemmeno come fronteggiare la guerra aperta che ormai una certa parte di tifo le ha dichiarato, sfidandola sulla questione “cori contro Balotelli”.
Da parte di Blanc, oltre ai soldi buttati per tanti pseudo campioni farlocchi, il solito sorrisino e le solite nauseanti ovvietà.
Studiate la storia, tutti.