Bettega, la nostra bandiera... bianca!

bettegaAlla fine ci è cascato anche lui. Non sapete quanto ho amato Roberto Bettega, davvero. Non ho avuto modo di vederlo giocare nei suoi momenti d’oro, ero troppo piccolo. Di lui, sul prato verde, ricordo solo un paio di stagioni, l’entrataccia di Munaron, l’addio al Mondiale e la Cabeza Blanca in volo verso il Canada.

Lo ricordo invece, e molto bene, al fianco di Giuseppe Albertini a vivere la drammaticità di quella finale Intercontinentale, e la sua emozione, diafana e sussurrata in mezzo all’incessante ronzio delle trombette giapponesi. E la fuga dagli studi Mediaset, il gesto delle orecchie a Bologna, più mille altre cose, fino a quella stretta di mano assai juventina due settimane fa al Tardini, che sembrava suggellare il ritorno ai valori tanto cari al pubblico della Torino a strisce.

Lungi da me criticarlo, ma qualche dubbio sul suo ritorno l’avevo già sollevato qualche giorno fa. Il dubbio, appunto, che fosse solamente il frangiflutti del momento, la carta da giocare nella disperazione. Blanc non rilascia interviste da settimane e, a metterci la faccia dopo l’ennesima sconfitta, ci è andato lui, Bobby Goal. Lodevole nelle intenzioni, assai meno nei contenuti, inaspettatamente farraginosi e, per certi versi, irrispettosi.

Ci eravamo fatti la bocca con Boniperti che, in un’assemblea azionisti di tre anni fa, cantò le lodi di Zaccone e benedisse l’avvento dell’attuale corte dei miracoli (vorremmo conoscere il suo parere adesso…), ma allora cercammo di darcene ragione, considerando l’età del personaggio e i suoi (miserrimi) desideri di rivalsa. Quest’oggi, invece, di ragioni non ne troviamo.

Aspettavamo Bettega al varco, sicuri di trovare in lui conforto o, quantomeno, uno sguardo da Pelide Achille che ci rassicurasse sulle strategie prossime venture. Invece, ai microfoni di Sky, nel dopopartita di Verona, si è presentato un emulo italiano dell’ineffabile Jean-Claude, una copia cerulea dell’eroe che fu. Roberto, tranquillo e sorridente, ha fatto i complimenti all’ ”amico Adriano" (Galliani, ndr), ha sentenziato che il campo da gioco era pessimo e ha chiuso con il solito refrain sui rimedi da adottare: dalla crisi si esce con il lavoro e con il reintegro dei giocatori infortunati. Di mercato nemmeno a parlarne, dal momento che la qualità c’è e che la Juventus fino alla settima giornata (quarta, in realtà…) era prima in classifica.
Tralasciando che alla settima andavamo a rimediare due pere a Palermo e che in testa, insieme all’Inter, c’era persino la Sampdoria, l’analisi del nostro è sembrata molto frettolosa, poco competente e, addirittura, canzonatoria per le orecchie di un pubblico che di favole ne ha già sentite abbastanza.

I numeri, infatti, dicono altro. Considerando le ultime quattordici giornate la Juventus è quintultima in classifica, senza contare i sei miseri punticini raccolti nelle ultime otto partite e le sette sconfitte incassate negli ultimi dieci match, coppe comprese. Un rendimento da Siena, tanto per capirci. E proprio da Siena è arrivato il rinforzo, se così si può chiamare, della campagna acquisti invernale, quel Paolucci che, a quasi 23 anni, faceva da riserva a Maccarone, Ghezzal e Reginaldo. E questo mentre le altre grandi si rinforzavano con i Pandev, i Toni e i Beckham.

Quando Mario Sconcerti, opinionista in studio, gli ha reso note tutte queste circostanze il neo-vicedirettore generale si è stizzito, rispondendo che il calcio non sta nei numeri e nelle statistiche, ma negli occhi. Appunto, negli occhi, quelli che abbiamo noi per ammirare lo scempio e la decadenza che qualcun altro, invece, si ostina a non voler vedere o accettare.

Non ci resta che rifugiarci nell’ironia e prendere in prestito l’esprit tranchant di Winston Churchill, secondo il quale, l’atto finale di ogni fallimento è la commedia. Mai, però, avremmo pensato che il nostro amato, amatissimo, Bettega salisse sul palco ad interpretare la parte del commediante. Con il dubbio, lacerante, che dietro a quella del gobbo (inteso come suggeritore…) si nasconda, ancora una volta, Monsieur Baguette. Roberto, per favore, dicci che non è così.