Quanto ci manchi Avvocato, quanto ci manchi Juventus

agnelli“E’ un pomeriggio di sole del settembre 1925 quando la Fiat Torpedo 509 di Edoardo Agnelli si ferma davanti allo storico campo di gioco della Juventus di Via Marsiglia. Ad aspettarlo c’è la dirigenza bianconera al completo che lo saluta mentre sta scendendo dall’auto. Il presidente risponde al saluto con un cenno della mano ma esita ad avanzare verso chi lo sta attendendo e si attarda all’interno dell’auto. La sorpresa è generale quando Edoardo scende dall’auto e va verso di loro tenendo per mano un bambino di nemmeno cinque anni che indossa un vestitino bianco e blu alla marinara: è suo figlio Gianni...”

E’ un momento storico quello che Mario Pennacchia immortala nel suo Gli Agnelli e la Juventus, perché nella spontaneità di un padre che stringe la mano al figlio ci sono colui che allora era il presente e chi sarà poi il futuro di oltre ottant'anni di storia bianconera, vissuta sotto l'indelebile segno della dinastia Agnelli. C’è un filo conduttore che lega quel bambino all’uomo potente che ci ha salutato il 24 gennaio del 2003. E’ la tenerezza che ti suscita l’infanzia, così come una persona cara che se ne va dopo una vita straordinariamente vissuta. C’è il rimpianto sempre vivo per quel che ha significato l’Avvocato per la sua Juventus. A essere juventini oggi ci si sente come orfani di genitori che ti hanno accudito e coccolato praticamente da sempre. Un’eredità raccolta dal papà Edoardo, che della Juventus fu presidente per dodici anni, dal 1923 al 1935, quando scomparve per un tragico incidente. Gianni era troppo piccolo per succedergli già a quel tempo, ma non si tirò indietro quando glielo chiesero qualche anno più tardi. Era il 22 Luglio 1947 quando Gianni Agnelli assunse la carica di presidente della Juventus, che mantenne per sette anni. Due scudetti con una squadra in cui spiccava un giovanissimo Boniperti insieme ai danesi Praest, Karl e John Hansen. Nel 1954 il tempo scadde, gli impegni di un impero, di cui il calcio rappresentava soprattutto il divertimento della domenica, presero il sopravvento. Ma Gianni Agnelli per la Juventus c’è stato sempre, fino all’ultimo, a tesserne le trame della storia. Uno stile ed una presenza inimitabili quelli dell'Avvocato, che passava dall’ironia di brevi e taglienti battute, dette a caldo fra un tempo e l’altro o nel dopo partita, alle telefonate all’alba a calciatori, allenatori e presidenti di turno, per avere direttamente il polso della situazione della squadra. Potevi vincere o perdere sul campo, ma quella sua ironia, la sua capacità di sintetizzare e di colpire il bersaglio con una semplice battuta ti faceva percepire un imbarazzante senso di superiorità rispetto a qualsivoglia altra squadra. Era una Juventus che si rispecchiava nella sua classe. Visse intensamente il fascino di quella emozionante "J" iniziale di Juventus e, grazie anche al suo modo di “essere la Juventus”, ha finito per far innamorare mezza Italia di quella che solo in apparenza era una squadra di calcio, ma che con lui è stata molto di più. L’Avvocato è stato il vero re d’Italia, l’unico fuoriclasse dell’Italia dal dopoguerra fino all’inizio del nuovo millennio. Con i potenti del mondo lui intratteneva rapporti di consuetudine se non di amicizia, come accadde in particolare con Henry Kissinger. "Mentre parlavi con lui - ha ricordato qualche anno fa Kissinger in un'intervista rilasciata a La Stampa - sapeva trasmetterti la sensazione che nulla gli importasse di più. E non si trattava di una posa: era dotato di capacità empatiche fuori dal comune e intuiva al volo i sentimenti del suo interlocutore".

Ovvio che uno come lui desiderasse per la Juventus chi sul campo di calcio potesse essere un po’ quello che lui rappresentava nella società. Alla Juve voleva portare campioni come Di Stefano, Maradona, poi Platini. Ci riuscì solo con quest’ultimo, mettendoci del suo per farne non tanto un fuoriclasse in campo, ma quello che poi sarebbe diventato il dirigente calcistico più potente d’Europa come presidente dell’UEFA. Da quel lontano 1947 in poi la Juventus è stata prima l’impegno e poi l’hobby da dividere con il fratello Umberto. Le divergenze fra i due ci sono state, com’è ovvio, ma quello che è certo è che i due fratelli alla fine arrivavano sempre a una decisione condivisa per il bene della Juventus. Nel 1997, in una puntata di Mixer dedicata al centenario della società, rispose proprio così a Gianni Minoli che lo intervistava.:“Io e mio fratello abbiamo sempre fatto l’impossibile per la Juventus”. Viene da sorridere amaramente pensando a come questa Juventus è stata ridotta da quando Gianni e Umberto non ci sono più. Chissà se chi ha raccolto un’eredità così pesante potrà dire un giorno di aver fatto l’impossibile per questa Juventus. O forse l’impossibile in un certo senso è stato fatto, perché con l’Avvocato e il Dottore in vita, nemmeno nella più nefasta delle previsioni, si sarebbe potuto immaginare che di quella Juventus sarebbe rimasto solo il cadavere. E’ anche per questo che ogni giorno che passa sembra che, con il suo addio e quello di suo fratello Umberto, anche la Juve, quella vera, se ne sia andata per sempre. Sembrava eterno l’Avvocato, sembrava eterna quella Juventus. "Vinca la Juve o vinca il migliore?" gli chiese con aria furtiva il giornalista di turno prima di una partita, e lui di rimando: "Sono fortunato, spesso le due cose coincidono".

Quanto ci manchi Avvocato, quanto ci manchi Juventus...

 

Clip tratta da "Speciale Mixer: 100 anni di Juventus", trasmissione dell 1997 con testimone di eccezione: Giovanni Agnelli.
"Per la Juventus abbiamo fatto l'impossibile" spiega l'Avvocato. Un messaggio e allo stesso un monito da tramandare agli eredi.

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