Stile Juve

Stile JuveI veri tifosi di una squadra di calcio, quelli che senza di lei non sanno stare, tendono a dare della loro squadra e quindi di se stessi un'autorappresentazione eccezionalista: noi siamo diversi, noi siamo così.
Prendi il tremendismo granata ad esempio, o la convinzione del tifoso milanista che la sua squadra abbia nel suo DNA il divertire, il calcio offensivo, la pratica di quel "giuoco arioso" che piace tanto non solo al Presidente, ma anche al rossonero di sinistra. Il romanista, te lo grida in canottiera, è contro ogni potere. L'interista ti dirà che loro, a differenza di tutti gli altri, sono onesti e anche un po' pazzi, nonostante, per trovare un'Inter dal gioco spumeggiante, occorra forse tornare agli anni '70. Il carattere della squadra può anche diventare quello di una città: da Napoli, dove si impazzisce per i giocatori creativi, a Bergamo, dove ciò che esalta è il duro lavoro. Sì, ci sono tanti luoghi comuni.

C'è anche del vero, non fosse altro perché i tifosi plasmano il loro ambiente, perché i tifosi cambiano moglie, partito, religione, ma la squadra non si cambia, e loro sono ancora lì, dopo 60 anni, a dire che il tal giocatore non è da Juve, perché cos'è la Juve, cosa è davvero, qual è il j factor, lo sanno riconoscere loro ben meglio di un qualsiasi direttore sportivo.
La Juve, quindi. C'è chi dice che lo stile Juve è vincere. Grossolana come interpretazione: si poteva forse adattare alla Juve moggiana, ma è chiaro che nello stile Juve c'è qualcosa di più e anche qualcosa di meno: molte volte è stata 100% Juve anche quando ha perso, ne siamo andati orgogliosi lo stesso, non siamo tifosi da vittoria, troppo facile.
C'è chi scambia lo stile Juve con lo stile degli Agnelli, ed è chiaro che così non è. Anche perché, al di là del giudizio di merito, tra lo stile di Gianni e lo stile di Umberto ce ne passava, eccome.
C'è chi l'ha scambiato per il sublime sabaudismo di Boniperti. Per primo, credo, Boniperti stesso. E allora capelli corti, niente orecchino, vedi di metter su famiglia, zitto e pedalare.

C'è chi lo paragona alla fabbrica, alla FIAT, la Juve delle gerarchie definite, la Juve di "ognuno al posto suo", e questa è forse la rappresentazione più verosimile, quella che è sopravvissuta alle diverse ere. Perché anche Gianni Agnelli, anche Umberto Agnelli, stavano al loro posto, quando si parlava di Juve. Lo sapeva fare Scirea il buono, ma anche Montero il cattivo, l'elegante Platini, ma anche l'ombroso Zidane; conosceva i limiti del suo ruolo il signor Juventus Boniperti, ma anche la Triade, capitanata dal granata Giraudo.
Quelli che non sapevano stare al loro posto, neanche ce li ricordiamo: Marocchino, Miccoli, chissà quanti altri travolti dalla storia, non all'altezza. La Juve per essere Juve deve fare così, la Juve è il rispetto che c'è tra il suo 4 e il suo 10. Quello che il 4 pensa del 10 e quello che il 10 pensa del 4. E quello che di quei due pensa il resto della squadra.
Forse sì, la fabbrica. Forse non la FIAT, ecco.

Se questa Juve non esiste più, la colpa è, lo abbiamo spiegato più volte, della proprietà, John Elkann, e dell'uomo forte della proprietà, Jean-Claude Blanc. Il proprietario deve saper stare al suo posto, ma questo non significa che non debba fare assolutamente nulla. Blanc avrebbe dovuto accontentarsi di fare una cosa soltanto, e invece le ha volute fare tutte. Tutte, o quasi, male.
Chi ha giocato a calcio conosce per prima cosa il valore del gruppo. Non è facile comprendere l'alchimia speciale di un gruppo vincente: è un' arte assai più che una tecnica. Altrettanto difficile è capire davvero la maledizione imbattibile di un gruppo perdente. Chi ha giocato a calcio conosce quali sono i luoghi comuni. Le cose che non c'entrano niente.
La grinta è una cagata pazzesca. Ce la metti tutta, e le cose non vanno lo stesso. Può succedere che tu combatta, ma gli altri arrivano prima, perché stanno meglio fisicamente. Capita che tu ce la metta, il tuo compagno ce la metta: ma ognuno la sta mettendo per se stesso, e le cose non vanno comunque.
Se non c'è una sintesi a livello di guida tecnica, la grinta non riesce a incanalarsi in nulla di positivo. Anche se si vuole, fortissimamente si vuole, nulla si ottiene.
La grinta è un valore di gruppo, non individuale.
Ma cosa vuoi che ne sappia John Elkann? Certo è stato comodo, molto comodo, spostare l'attenzione sui giocatori, puntare il dito su di loro: manca la grinta. Uno pensa: che succede, non si impegnano?
Complimenti anche a Tuttosport che ne ha veicolato il messaggio.
Ed eccoci qui a commentare l'attacco incivile di alcuni (per fortuna, non molti) ultras alla squadra. Obiettivo i giocatori, anziché la proprietà. Il problema è Zebina, non Elkann.
L'onore della maglia, andate a lavorare, e tutto il resto. Perché questi tifosi non sono di quelli che "la mia squadra è diversa", loro da Bergamo a Napoli si servono degli stessi luoghi comuni. L'onore della maglia, come se Juve e Inter le distinguesse il colore delle magliette.

Dov'è lo stile Juve, allora, non esiste proprio più?
Ce n'è un po', io oggi l'ho rivisto, e in due persone in cui, sono sincero, non avrei mai pensato.
Il primo è stato proprio Zebina, colpito alle spalle durante la contestazione da un tifoso vigliacco: ha reagito con un solo, eloquente sguardo. Posto che, stile Juve o no, noi tutti sosteniamo anche il pieno diritto al dito medio quando sei oggetto di insulti razzisti.
Il secondo è stato Felipe Melo, sì proprio lui, che ha chiesto scusa ai tifosi dopo aver segnato il goal decisivo. Scuse per il comportamento inaccettabile tenuto l'ultima volta.
Io non ho dubbi: comportamenti ispirati da uno che quello stile sa cos'è, Roberto Bettega.
Entrambi hanno capito la gravità del momento. Cosa che invece non ha capito Del Piero: è frustrante per un tifoso che vede la sua Juve male, come forse non è mai stata, vedere il suo capitano continuare ad indulgere nelle celebrazioni personali. Dica al suo loggione, cortesemente, di piantarla.
Il momento è serio, e noi non abbiamo nessuna intenzione di contare i suoi goal, ma solo i punti della Juventus.

Love Juventus, hate Elkann.