Il terzo arcobaleno

Del PieroAvevamo ancora negli occhi l’arcobaleno che aveva perforato la nebbia del Delle Alpi, illuminandolo a giorno, con un festival di colori che andarono a ricoprire i settantamila tifosi bianconeri, impazziti di gioia. Era una bolgia, ed un boato aveva scosso la città di Torino, nel momento esatto in cui Del Piero, con un esterno destro al volo, aveva infilato il povero Toldo della Fiorentina, che altro non poteva fare che rimanere strabiliato dalla bellezza del colpo: un goal che resterà per sempre nelle menti di tutti gli amanti del calcio, come una scena di Sergio Leone, con sottofondo di oboe e violini di Ennio Morricone.
Passano sette giorni e gli arcobaleni si ripresentano altre due volte. Stavolta il teatro della scena è Roma, con il suo stadio Olimpico, ancora una volta ostile alla Vecchia Signora. Stavolta si è colorato di azzurro laziale, invece che di giallo rosso romanista, ma la musica non è cambiata: offese pesanti dirette al cuore di ogni juventino e cori malefici dedicati ai 39 angeli di Bruxelles.
Passano gli anni, cambiano i tempi, ma non passano e non cambiano i delinquenti, sempre presenti, come le sentinelle ben sveglie e ben vigili accanto al Milite Ignoto.
Il primo arcobaleno sul finire del primo tempo: una palla vagante in area ed Alex si distende in scivolata, con un guizzo magistrale, andando ad anticipare ed a infilare Marchegiani, che non si capacita di quello che è accaduto ed inizia a protestare, non riusciamo a capire il perché, forse non lo sa nemmeno lui, mister Sky, mentre Del Piero viene rincorso dai compagni festanti. E’ il pareggio, dopo il goal iniziale di Rambaudi.
Ma eccolo l’arcobaleno più bello: siamo già sul 2-1 per la Juve, dopo che Marocchi ci ha portato in vantaggio, grazie alla discesa del nostro Capitano Antonio Conte. Pinturicchio si arma di tavole e colori e fa fuori come birilli tre avversari sulla corsia di sinistra, poi afferra il pennello e disegna il più classico dei suoi tiri a rientrare, con la palla che s’insacca proprio lì, all’incrocio dei pali, a togliere la ragnatela, dimenticata dall’addetto al campo.
L’Olimpico si ammutolisce, mentre l’arcobaleno è talmente intenso che va a coprire anche la luce dei riflettori artificiali; addirittura sembra che le maglie azzurre dei nostri eroi stiano riflettendo i colori dell’arcobaleno disegnato da Del Piero, e noi juventini in Tribuna siamo felici, commossi, imprigionati nel silenzio, con la paura di gioire, perché accanto a noi c’è “il tifoso cattivo”, che cinque minuti prima aveva cantato l’inno dell’Heysel, con gli occhi iniettati di sangue.
Quell’arcobaleno è la nostra vendetta, la mia vendetta, ed il “tifoso cattivo” nulla può di fronte a quella immensa stella che sta nascendo, la più grande del firmamento juventino: la stella di Alex Del Piero.
Intanto il venditore di fumo, Zeman, si alza dalla panchina, imbalsamato come un animale e gli occhi fissi sul campo, mentre Pinturicchio corre impazzito di gioia, pennello in mano, rincorso da Capitan Conte e compagni.
Ciccio Grabbi completa l’opera della partita, che io considero la vera partita della svolta, della rinascita juventina, dopo quella eroica della domenica precedente, contro i viola.
La vittoria contro la squadra di Zeman fu la conferma che la Juve era tornata grande, e lo scudetto non ci sarebbe sfuggito, ma soprattutto fu la conferma che il goal di Alex alla Fiorentina del 4 dicembre 1994 non era nato per caso, ma era stato partorito dai piedi sapienti e magici del più grande bianconero della storia, in fatto di presenze, numero di reti e carisma.
Puntuale, come un orologio svizzero, arriverà la prima intervista alla nuova stella bianconera, con la testa piena di riccioli castani ed il sorriso dolce che farà innamorare madri e figlie:
“Sta avvenendo tutto in fretta, ma la mia vita non è cambiata, sono rimasto il ragazzo di un tempo, consapevole che al giorno d’oggi basta una prodezza per occupare i titoli delle prime pagine e qualche deludente prestazione per sprofondare in basso”.
Un ragazzo già maturo, dunque, che ancora non aveva veramente percepito quale sarebbe stato effettivamente il suo futuro.
Chi era veramente questo ragazzo veneto di Conegliano, invece, lo aveva già capito Luciano Moggi, e in cinque minuti spedì Baggio al Milan e confermò Del Piero.
Altro colpo da maestro, uno dei tanti di Luciano.
“ Devo migliorare, e poi ancora migliorare”, disse in quell’intervista Alex.
E’ molto probabile che quella frase la potrebbe ripetere anche adesso, intervistato da un giornalista australiano, perché lui è un perfezionista nato, esigente con se stesso, e sempre in cerca di vittorie personali.
E’ il credo di ogni vincente, dell’uomo forte, che conosce perfettamente le sue potenzialità e non teme nessun tipo di confronto.
“ Non amo la mondanità, adoro la casa e la tranquillità”, raccontò ancora in quell’intervista.
Altro fattore determinante per la sua strepitosa carriera: mai uno scandalo, mai uno scoop, con una vita dedicata al pallone, alla famiglia e alla sua squadra.
E’ andato via triste dalla sua Juve, la sua seconda famiglia, ne sono certo, e ne sono certi tutti i tifosi juventini, ma il suo futuro si potrebbe colorare di nuovo di bianconero, prima o poi. Quei colori fanno parte del suo dna, della sua storia di campione immenso, nata quel giorno di dicembre del 1994, quando, con il pennello magico, disegnò il suo terzo arcobaleno nel giro di sette giorni.
Ne avrebbe disegnati talmente tanti in seguito, di preziosi arcobaleni, che nemmeno lui avrebbe mai potuto immaginarli quel giorno a Roma, quando ammutolì i “tifosi cattivi”, che ricordavano la Curva Zeta, quando ammutolì Zeman, nipote dissidente di un grande juventino, quando ammutolì un intero stadio colorato di celeste.
Non sapeva, il nostro Alex, che la sua stella stava nascendo proprio quel giorno, e non avrebbe mai smesso di brillare.
Grazie Alex, e grazie infinite per quel giorno, mentre gioivo in silenzio, per non farmi sentire dal “tifoso cattivo”.