Un'altra azione legale mancata

cobolliSe vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell'altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l'altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto.
Vi ricorda niente? Va bene, era prevedibile. In effetti avrò letto questa norma mille volte e, pur scorgendovi qualcosa di familiare, neanche io ci avevo mai fatto caso. Trattasi dell’art.1448 del codice civile e dell'azione generale di rescissione per lesione.
L'azione di rescissione ha lo scopo di portare ad equità un contratto che sia stato concluso sotto la pressione di circostanze eccezionali che possono consistere in uno stato di pericolo o di bisogno.
Forse cominciamo a ricordarci qualcosa, ma vado avanti.
Spesso, nel linguaggio parlato, si tende a confondere risoluzione e rescissione. Nel linguaggio del giornalismo sportivo, calcistico in particolare, la confusione è ormai prassi consolidata.
Quante volte abbiamo sentito il giornalista sportivo di turno riferire che le parti, società e giocatore, si sono determinate a “rescindere” l’accordo oppure che uno dei due ha chiesto la “rescissione” del contratto. Giuridicamente le cose stanno davvero diversamente e rescissione e risoluzione sono lontane tra di loro come la seconda squadra di Milano e la vetta del campionato di calcio di serie A 2005/2006.
Tra i tanti tipi di risoluzione c’è ad esempio la più comune, che è quella per inadempimento, ove è previsto che nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può, a sua scelta, chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
Probabilmente quando abbiamo sentito la parola rescissione in Tv, si trattava di risoluzione e più in particolare di risoluzione consensuale di un contratto.
Ma torniamo alla rescissione e alla nostra indagine.
Esistono due tipi di rescissione: quella “in stato di pericolo” e quella “per lesione”. A noi interessa la seconda.
La rescissione di un contratto “per lesione” ricorre quando un soggetto, spinto da uno stato di bisogno, venda un bene al di sotto della metà del suo valore.
Neanche così vi viene in mente nulla?
E se chi vende e chi compra fossero due società di calcio?
E se il “bene” venduto fosse un calciatore?
E se quella che vende fosse in stato di bisogno perché, pur avendo finito gli ultimi due campionati prima in classifica, il comune sentire popolare la stesse retrocedendo in serie B?
Mentre i giornalisti sportivi si affannavano a spacciare per rescissioni quelle che rescissioni non erano, bensì delle semplici e banalissime risoluzioni, spesso consensuali, noi tutti avevamo sotto agli occhi la prima possibile rescissione della storia del calcio e nessuno se n’è accorto.
Adesso dovremmo esserci arrivati tutti. Meglio tardi che mai.
Per il nostro ordinamento, e in particolare per il codice civile, la sproporzione tra le due prestazioni deve essere di tale entità che l'una valga più del doppio dell'altra (ad esempio vendo per 24 un bene che vale almeno 50).
Dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto che per aversi lo “stato di bisogno” non è necessario che il venditore si trovi in una condizione di vera e propria indigenza, ma è sufficiente che vi siano delle difficoltà economiche, seppure di natura transitoria, che però rivestano una notevole importanza per il contraente.
In particolare, la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha interpretato lo stato di bisogno in chiave soggettiva, ha ritenuto necessario operare un esame globale delle circostanze cui inerisce e ne ha identificato il risultato psicologico, ad esempio, nella mancanza di libertà di scelta nella contrattazione.
Un caso potrebbe essere dato da una squadra di calcio che, del tutto improvvisamente, sia costretta a rivedere la propria programmazione perché, a causa della retrocessione di cui abbiamo detto, certamente perderà gran parte del proprio fatturato e degli introiti garantiti da diritti tv, sponsor e partecipazione alla Champions League oppure perché, secondo i novelli esperti di diritto civile e sportivo proliferati in quei tempi, i suoi giocatori potrebbero rescindere (rectius: risolvere) i loro contratti unilateralmente e questo perché nei loro accordi non era preventivata la retrocessione in serie B.
Ulteriore condizione richiesta dall’ordinamento è che l'altra parte sia a conoscenza dello stato di bisogno e se ne sia servita per trarne vantaggio.
Proviamo a pensare che la società acquirente sia molto vicina ai soggetti che hanno contribuito a determinare lo stato di bisogno e che la federazione sportiva di appartenenza (la stessa che organizza i processi che hanno determinato lo stato di bisogno) sia addirittura presieduta, eccezionalmente, da un suo ex amministratore oppure più semplicemente che lo stato di bisogno sia ben conosciuto da tutti.
Qualora ricorrano tutte queste condizioni, la parte “lesionata” può, entro un anno dalla conclusione del contratto e dalla cessazione dello stato di bisogno, esercitare la c.d. azione di rescissione affinché il contratto sia dichiarato invalido. In alternativa la parte che si è avvantaggiata può domandare di riportare il negozio ad equità, ma non basterà corrispondere la metà più uno del prezzo pagato, sarà necessario che “l’approfittatore” corrisponda molto di più e cioè una somma che si avvicini sostanzialmente al reale valore del “bene”.
Tale valore, tanto in chiave rescissoria che in funzione di un'eventuale riconduzione ad equità, può essere dato da una perizia disposta dal giudice chiamato a decidere oppure, molto più semplicemente, attraverso il confronto con altri identici negozi. La prova del nove del reale valore e della sproporzione “ultra dimidium” potrebbe essere data, ad esempio, dal fatto che la stessa parte che ha acquistato quel bene a prezzo stracciato riesca poi a rivenderlo a terzi al triplo del corrispettivo pagato.
A me continua a venire in mente sempre lo stesso caso e non credo che il “caso” in questione sia stato rivalutato dalla militanza nella squadra acquirente, sembrando evidente piuttosto il contrario: è stato il “caso” a rivalutare gli acquirenti. E del resto è storia che gli acquirenti non abbiano mai rivalutato nessuno, quanto meno prima che questi cambiassero maglia.
Ma in fondo sto divagando.
Chi scrive si è semplicemente divertito a portare all’attenzione del lettore un altro esempio del paradosso che viviamo da qualche anno. Chi scrive, però, è anche convinto che riottenere gli scudetti scippati, chiedere i giusti risarcimenti per i danni subiti, rescindere tutti i contratti conclusi in stato di bisogno oppure semplicemente chiedere che gli stessi siano riportati ad equità sarebbero azioni giudiziarie non troppo paradossali, quasi una passeggiata per il gotha dell’avvocatura al servizio della società venditrice e sicuramente cosa molto più semplice che architettare un equity swap o un’eredità blindata.

Basterebbe solo volerlo.

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