La bella incompiuta

FerraraInutile negarlo, la sessione di compravendita estiva ha lasciato un sapore dolceamaro: l’acquisto atteso da eoni (leggi Diego) ha infuso entusiasmo, ma partenze poco comprensibili (Zanetti) o assai poco monetizzate (lo stesso Cristiano, Marchionni, Mellberg) ne hanno parzialmente ridotto la portata. L’esoticità latina dei Felipe Melo – 25 euromilioni sull’unghia di Corvino a pochi giorni dall’imposizione della clausola rescissoria – e dei Cáceres hanno invece contribuito a diluire l’acidità di stomaco in seguito al ritorno in patria di Cannavaro, non a tutti gradito.

Valutato il mercato, finalmente affrancato da imprevedibili mutazioni solido-camaleontiche, il tifoso di Madama si è immediatamente interrogato sulle tanto agognate novità tattiche, in cerca di barlumi intellegibili di quel “progetto” di eccellenza annunciato a più riprese da Blanc e dai suoi sodali di scrivania. Le premesse sono sembrate ottime e hanno fatto tornare timidi sorrisi laddove - tra mezze figure in campo e promesse non mantenute in sede – vi erano stati più che altro pianto e stridore di denti.

Ma qualcosa, nonostante il crescente ottimismo, ancora non ha convinto. Certo, due brasiliani in un colpo solo sono manna dal cielo, un sambodromo colorato in confronto alla festicciola di paese messa in piedi dai curvi mezzadri cui ci si era abituati in epoca ranieriana. Diego vs Tiago, Felipão vs Poulsen sono migliorie evidenti, maniglie d’oro contro pomi d’ottone. Tuttavia, e prendiamola come chiacchiera da ombrellone, qualche dubbio squisitamente tattico tuttora tormenta (con l’allitterazione a rafforzarli…).

Melo non è un regista, almeno non nel senso classico del termine. A voler pignoleggiare, nel suo ingaggio potrebbe essere nascosto un piccolo errore di valutazione.
Passi che D’Agostino era prezioso come un attico fronte Central Park e che gli argomenti del buon Pantaleo paiono sempre stimolare i giusti recettori a Torino, ma se si deve riempire un buco tondo non ci si tenta di infilare il pezzo quadrato. Intendiamoci, il brasiliano è un buon (diverrà ottimo?) elemento ma, forse, non è proprio quello che serviva. Il giudizio, ora come ora, è sicuramente affrettato e non vuole sentenziare sull’assoluta bontà del giocatore, quanto sulla sua utilità. Si cercava un Fellini, è arrivato Joel Schumacher. Ottimi entrambi, ma fanno due cinema diversi. Quindi, svoltare da Xabi Alonso a Poulsen e poi da D’Agostino a Felipe, ha dato l’impressione di poca chiarezza in sede di scelta, oltreché di scarsa lungimiranza visto che di “progetto” si era parlato.
L’auspicio è che il neo arrivato sappia conquistarsi il centrocampo, si faccia consegnare palloni con la sicumera del capoclasse e li distribuisca con saggezza e precisione.

Aspettando il ritorno di Sissoko, il resto della zona mediana può trovare un punto fermo in Marchisio (non un grande precampionato, ma con l’alibi di una convocazione in Nazionale che, soprattutto emotivamente, può distrarre molte energie), ma si trova a un bivio dall’altro lato del rombo: Camoranesi è come quelle radio che se tieni l’antenna nel punto giusto senti Claudio Villa ma, se la muovi di un centimetro, è un gracchiare di cornacchie. Tiago, toltosi il costume da Tenerone, ha cominciato finalmente a mostrare le sue grazie. Ma ancora non si conoscono quali e quante siano. Il sospetto è che oltre l’apparenza di una gamba affusolata ci sia l’inganno di una calza contenitiva. L’occhio si appaga, ma la sostanza rimane esattamente la stessa. Bager Poulsen è scarsamente proponibile, con il suo calcio da scuola dell’obbligo e il faccione da omino Kinder, cui peraltro non poco assomiglia. Tutte le alternative d’emergenza, dall’avanzamento di De Ceglie o di Salihamidzic all’inserimento del (promettentissimo) giovane Marrone, sono appunto misure da protezione civile, in caso di danni o sconquassi causati da forza maggiore.

In fase di organizzazione del gioco si rischia quindi di ritrovarsi con le mani (e gli occhi) legate al primo vero brasiliano della storia juventina, quel Diego che, chi scrive fa Muzio Scevola e mette la mano sul fuoco, ha tutta l’aria di un fuoriclasse in fieri, uno che non dà del “tu” al pallone, ma è il pallone a dar lui del vossignoria. Con il terrore che, allorquando manchi il Messia, ci si addormenti nell’attesa del suo ritorno.

In attacco, analogamente, vi è la concreta possibilità di ritrovarsi dipendenti dagli umori e dagli stati di forma di Alex Del Piero, dal momento che Amauri e Iaquinta, sembrano troppo simili nelle loro – seppur utilissime – funzioni e Trezeguet è l’ultimo della lista dei giocatori adatti per un reparto offensivo rapido e di movimento. Per mettere a proprio agio il francesino serve giocoforza uno schieramento a due fantasisti a supporto (Diego e… Lavezzi, perché no?), oltre che un qualche abile pedalatore di fascia cui non si chieda cross alla Roberto Carlos ma senza dubbio qualcosina in più di umili ciabattate dalla trequarti. Il buon David, si dirà, il suo bottino di gol lo ha sempre fornito, ma nel calcio moderno – obietto – è arduo produrre il giuoco bello e redditizio con una punta praticamente immobile in avanti. Lo stesso Manchester ha scelto più volte di rinunciare ai servigi dello strapagato Berbatov, pur di dare supporto alla zona mediana dello schieramento.
Per non parlare del Barcellona, recente campione, ricco di soluzioni offensive che prescindono dalla stazionarietà di un finisseur dell’area di rigore.

Pur tenendo in conto le problematiche sopracitate, monsieur de Lapalisse suggerisce che è la difesa ad essere il reparto con i problemi più evidenti. Non tanto centralmente, dove il reintegro di Cannavaro e la conferma di Chiellini e Legrottaglie offrono sufficienti garanzie di validità, quanto sugli esterni. Da diverse stagioni da quelle parti arrivano segnali di disagio, per non dire vere e proprie fitte di dolore. Grygera è un ottimo ragazzo, sicuramente simpatico e affabile, ma la sua effettiva utilità non può spingersi oltre ai match dei primi turni di Coppa Italia o agli scontri di Champions a qualificazione già acquisita. Zebina non ha mai entusiasmato. Persino nei rari momenti di continuità e integrità fisica, le sue fantomatiche discese pallalpiede si concludono quasi sempre con un nulla di fatto, con il parigino a saltare 2-3 avversari per poi accasciarsi sul fondo o sbagliare l'appoggio. Inoltre, con lui in campo la linea del fuorigioco troppo spesso somiglia a un grafico di borsa, per tacere dei falli di reazione e delle amnesie intellettive passate alla storia col poco onorevole appellativo di zebinate. Molinaro è discretamente affidabile in fase difensiva, ma molto poco in quella propositiva, mentre De Ceglie è ancora piuttosto acerbo per garantire quantità, qualità e, soprattutto, stabilità. A far ben sperare sono le discrete prestazioni dell’ultimo arrivato in casa bianconera, il jolly uruguagio Cáceres, ancora tutto da scoprire e da valutare.

Facile quindi tirare le somme e augurarsi l’innesto di un terzino di valore assoluto o, quantomeno, avvezzo a palcoscenici di un certo livello.
L’azzardo è che si possa pagare molto cara una debolezza in questa zona del campo, a maggior ragione a ridosso dei momenti chiave della stagione, tra una volata scudetto e una sfida spareggio in Coppa.

Il tifoso apprezzi quindi il lavoro svolto fino a qui, ma non dimentichi la struttura nel suo complesso. Che effetto farebbe una Gioconda senza sfondo? Sarebbe un peccato non concludere ora un progetto che, finalmente, può ambire a chiamarsi tale. Questa Juve, anche questa Juve, non può permettersi il lusso di restare una bella incompiuta. Mascherare i difetti con il cerone non è certamente saggio, risolverli alla radice lo è.
Perché sarebbe un peccato incrinare così valide premesse.