Il ruggito del fagiano. Le secche della proprietà (e utili consigli per venirne fuori)

trio I saggi dicono che c’è una grande differenza tra il sapere una cosa e il comprenderla. Nel primo caso si viene a conoscenza di un fatto e se ne prende atto. Se ne parla, se ne discute e si può persino pensare di saperla lunga. Ma è solo nel secondo che se ne prende coscienza. Fisicamente, emotivamente e mentalmente. Come quando capita di vedere tutte le sfumature e di cogliere con chiarezza tutti i punti e le angolazioni di una questione.

Ecco, questo è quanto è accaduto domenica scorsa alla grande maggioranza dei tifosi juventini, colti da una fulminante e desolante consapevolezza, peraltro già anticipata dal pareggino di Catania. E’ stata infatti una domenica di passione, che ha spillato olio di ricino sulle già rinsecchite lingue dei sostenitori della Vecchia Signora: nel pomeriggio le prodezze di Ibrahimovic e Mutu hanno riaperto vecchie e mai rimarginate ferite mentre, in serata, sono stati Ronaldo (campione vero, pancia, dente che fischia o moquette sulla testa che sia), Kakà e Pato a ricordarci quanto possa essere redditizio il calcio fatto di classe e tecnica e l’investire su giovani di talento, anche spendendo qualche soldo più del dovuto.

Insomma, sapevamo che corso Galileo Ferraris non ospita attualmente un consesso di geni del pallone, ma solo ora ci rendiamo pienamente conto che, in quanto a programmazione, competenza e (soprattutto) voglia di vincere da quelle parti non si è neppure al minimo sindacale.
Già la stagione scorsa la campagna acquisti per la serie cadetta si era rivelata fallimentare, tra sciagurate (e poco redditizie) cessioni ed elementi presi per far numero (Bojinov, Belardi) o per puro mistero (Boumsong). Ma se all’epoca, col naso turato, si aveva fatto buon viso a cattivo gioco, ora pare di essere dinanzi ad un diabolico perseverare. Nella Juve attuale, a parte la vecchia guardia, poco funziona a livello tecnico e i nuovi arrivati hanno confermato tutti i sospetti di inadeguatezza che ne avevano accompagnato l’acquisto. Situazione che stride assai a fronte delle promesse pronunciate a suo tempo da monsieur Blanc: la Juventus avrebbe dovuto investire oltre metà della ricapitalizzazione – peraltro finanziata in gran parte dai piccoli azionisti – sul mercato (spendendo più del Manchester..) per garantirsi l’arrivo di “tre campioni”. Parole al vento a cui non sono seguiti né fatti, né investimenti, né giustificazioni. Il denaro che è stato speso, poi, è regolarmente finito nelle tasche sbagliate, confermando quel vuoto di competenze che tutti si aspettavano dopo la cacciata di Luciano Moggi e dei suoi collaboratori: Almiron, per il poco che si è visto, ha vagato per il campo come un Celentano in cerca degli stivaletti, Tiago si è rivelato più leggero del Philadelphia di Kaori, con quella sua personalità donabbondiesca e quei capelli non abbastanza corti per essere un Cristiano Ronaldo e non abbastanza lunghi per sembrare un Paulo Sousa. Per tacere di Andrade – buon elemento ma certamente non uno dei “campioni” attesi – costretto ad una lunga sosta in infermeria. Se per i primi due si può parlare di speranze mal riposte, forse perché ritenuti migliori di quanto in realtà non siano o semplicemente perché seconde scelte, per il centrale portoghese si è trattato invece di un evidente errore di programmazione: difficile poter poggiare un progetto di rilancio su un difensore trentenne, pur bravo ma con solo una manciata di partite post-(grave)infortunio. E lo stesso errore, all’estremo opposto, è stato compiuto con Criscito: metà del cartellino riscattata per una montagna di euro (7,5 milioni, il Milan ha preso Pato, tutto intero, con poco meno di 22…), per poi gettare il giovane allo sbaraglio e rispedirlo infine al mittente senza nemmeno una pacca sulla spalla.

Quindi, non considerando i parametri zero (Salihamidzic buona riserva, Grygera non pervenuto), il solo acquisto azzeccato è risultato Iaquinta che, come previsto, paga però l’intoccabilità di Del Piero nelle scelte d’attacco. Certamente Alex ha ancora molto da dare ma, con ogni probabilità, è meglio che lui stesso, la società e, soprattutto, i suoi fan riducano le dosi di adorazione incondizionata per ogni rigore trasformato e per ogni veronica riuscita. Se, vero come è vero, i tifosi vogliono più fantasia in campo, con relative invocazioni di nuovi messia alla Van der Vaart o alla Diego (che verosimilmente non arriveranno mai), devono prendere coscienza che qualsiasi nuovo innesto nel reparto che va dalla trequarti all’attacco finirebbe inevitabilmente per sottrarre il posto a Pinturicchio. O, se non altro, a pestargli i piedi. Lo stesso rientro di Giovinco dall’Empoli creerebbe le premesse per un malcontento generale, con conseguenti difficoltà di collocazione tattica. Inutile quindi sognare talenti e rifinitori da ultimo passaggio se prima non ci si rende conto che il Del Piero attuale assomiglia più ad una prima punta che ad un folletto propenso a svariare per tutto l’arco offensivo. Senza dimenticare che non ci si può aspettare da lui 38 partite 38 (più eventuali coppe), ognuna ai massimi livelli.
In tema di campagna acquisti, in sostanza, le note positive vengono solo da Vincenzo Iaquinta ma la circostanza sembra più frutto di una normale ricorrenza statistica che di un reale merito di Secco o di chi ne fa le veci: ci sta infatti che, in mezzo a tanti (veri o presunti) bidoni si azzecchi qualche elemento di valore. D’altra parte persino la sgangherata Inter morattiana, nell’esercito dei Gilberto, dei Vampeta e dei Sorondo è riuscita ad acciuffare un Roberto Carlos e un Ronaldo.

In sintesi, se la Juventus è ancora in lotta per un posto in Champions League lo si deve solo alla vecchia guardia e ad un manipolo di giovinastri portati a casa da Luciano Moggi (Nocerino, Chiellini, Molinaro, Palladino) che, seppur a corrente alterna, hanno comunque garantito un apporto di gran lunga superiore ai nuovi arrivati. Sorpresa di questo inizio stagione è stata invece Nicola Legrottaglie, capace di riemergere dalle secche in cui pareva irrimediabilmente caduto e di proporsi come punto di riferimento del reparto arretrato. Ma di questo successo certamente non può fregiarsi la nuova dirigenza, dal momento che il difensore barese è stato costretto a fermarsi a Torino per un contenzioso non risolto di una squadra turca con il proprio allenatore.
Per non parlare di Nocerino, oggi titolare, ma che aveva già cercato casa a Firenze prima di un improvviso dietrofront in pieno Moggi-style.
In questo scenario, fanno quindi sorridere – se non piangere – certe dichiarazioni dei capataz del consiglio di amministrazione juventino, i quali sembrano fare a gara a sbugiardarsi a vicenda: se John Elkann annuncia acquisti, Cobolli li smentisce, se Secco cerca di aprire una trattativa, Blanc la stoppa immediatamente. Su questa falsariga sconcertano le ultime uscite dell’ex liquidatore Rinascente che, con l’aria di chi è stato illuminato da una trovata geniale, ha fatto sapere che la squadra è a posto così e che, da qui al 31 gennaio, la rosa non sarà integrata da nessun nuovo acquisto. Gioverebbe invece ricordargli che la Juventus necessita hic et nunc di rinforzi poiché non si è ancora garantita uno dei quattro posti-Champions (d’altra parte nemmeno accedere ai preliminari ne dà la sicurezza). Senza dimenticare che la concorrenza è agguerrita e che dalle occasioni fuori stagione sono spesso saltati fuori colpi decisivi (il Davids del 1998 o il Desailly del Milan di Capello, per fare qualche esempio).

Ma i problemi non si fermano solo al mercato e alla scelta dei giocatori in sé, giacché è evidente la loro estensione alla sfera manageriale tout court. Ciò che preoccupa dell’attuale dirigenza, oltre alla detestabile abitudine di chiacchierare molto e concludere poco, è lo scarsissimo peso specifico della stessa in ambito diplomatico (pressoché nulle le entrature in Lega e Figc dove i poteri milanesi e romani la fanno da padrone), nelle negoziazioni con le altre società (manca il carisma di Moggi) e nei rapporti con l’esterno. Il solido scudo che prima schermava e rendeva praticamente invisibile ogni attività (e problema) dello spogliatoio e del direttivo juventino si è ora assottigliato fino a mutarsi in una debolissima carta velina, attraverso la quale chiunque può sbirciare indisturbato. E di dimostrazioni ce ne sono in quantità: dall’umiliazione Frings al caso Deschamps, dal nervosismo di Zebina e Chiellini al sistematico spiattellamento pubblico di ogni minima trattativa di mercato, con tanto di cifre, proposte, controproposte, contatti e numero di fax inviati.
Uno scenario inquietante, reso ancora più fosco dalle (diciamolo) prese in giro continuamente propinate ai tifosi. I soldi ci sono, tanti, ma non vengono spesi (e quando accade vengono spesi male), senza contare l’eterna tiritera sul nuovo stadio che, è bene aprire gli occhi, non verrà mai realizzato. Ci si pone quindi due domande: quale dimensione la proprietà intende dare alla Juventus? Simpatica provincialotta che sogna posticini Champions o imbufalita divoratrice di vittorie? E poi, ed è il quesito più importante, questa dirigenza e questa proprietà amano davvero la Juventus?
Le risposte sono quantomai urgenti, se non altro per spiegare certi patetici equilibrismi tra un tanto osannato rinnovamento e il ricordo di un passato vincente, ma con il marchio indelebile della Triade. Basta dare uno sguardo a Juventus Channel per rendersi conto dei risibili tentativi di autocelebrazione, che devono comunque attingere al glorioso passato della Juve giraudiana, mischiati a richiami in stile granata alla grinta, all’orgoglio, alla maglia e a qualsiasi altra fantomatica qualità che serva a reprimere gli istinti famelici del tifoso a secco di vittorie.

In ogni caso, visto che non ci aspettiamo immediato riscontro da chi tira le file in questo momento in società, le risposte (e i rimedi) possiamo fornircele noi stessi, data la loro estrema semplicità.
Innanzitutto emerge nettissima la necessità di disfarsi di quella compostezza sabauda che, se già è passata di moda come un cappellino belle époque, non è nemmeno utile per destreggiarsi tra quella accolita di squali (per non dire altro) che popola lo stagnante acquario del calcio moderno. Non ci vuole un genio (e nemmeno un Bartolomeo della Casa) a capire che si può essere gentili, raffinati e persino simpatici, pur agendo con durezza e decisione (due qualità assolutamente imprescindibile per farsi ascoltare e valere).
In secondo luogo è a dir poco fondamentale una sensata pianificazione in sede di investimenti. Se si prova a stilare un elenco delle società più prestigiose del Vecchio Continente (Manchester Utd, Arsenal, Chelsea, Liverpool, Real Madrid, Barcellona, Valencia, Lione, Bayern Monaco, Porto, Juventus, Milan, Inter, Ajax) ci si accorge subito di un’evidente anomalia: la Juventus è l’unica squadra che, per poter acquistare nuovi giocatori, deve prima vendere. E non da poco tempo a questa parte, ma fin dalla prima gestione “triadica”, che segnò la chiusura definitiva dei rubinetti di casa Agnelli. In questa situazione, persino i tifosi sono diventati esperti nei calcoli di mercato, elaborando avventurosi piani di ammortamento o sbizzarrendosi in ogni tipo di teoria sul quanto possa rendere la cessione di un determinato calciatore.
Le differenze quantitative e qualitative con i top team d’Europa sono talmente evidenti da risultare quasi fragorose. Non si pretendono certo le mani bucate di Moratti o di Abramovich ma, quantomeno, uno slancio passionale e uno sforzo economico in linea con le ambizioni di una squadra come la Juventus.
Questa considerazione ne porta automaticamente in conseguenza un’altra: la questione stadio. Pensando ai clubs che abbiamo elencato sopra, non ci si può non accorgere di come ognuno di essi sia dotato di impianti per il calcio di altissimo livello e, laddove non propriamente “storici”, assolutamente moderni e creati ad hoc per la visione di questo sport. Ascoltare le menzogne della proprietà e assistere impotenti ai certi loro stolidi tiramolla suona come una beffarda presa per i fondelli e denota, oltre ogni ragionevole dubbio, la non volontà di investire su di un progetto a lungo termine. Un piano per ri-fare grande la Juventus, infatti, non può nel modo più assoluto prescindere dalla costruzione di un nuovo stadio. Un nuovo impianto da 45-50.000 posti, confortevole, funzionale e spettacolare, che faccia dimenticare i deserti del Delle Alpi e il brodino riscaldato dell’Olimpico.

In sintesi, appare chiaro come la proprietà non abbia a cuore le sorti della Juventus e nemmeno provi verso di essa quell’orgoglio e quell’amore che hanno da sempre contraddistinto i fratelli Gianni e Umberto Agnelli. Di questo, e dei relativi progetti di ridimensionamento, si sono ben resi conto Fabio Capello prima e Didier Deschamps poi, quest’ultimo allontanato più che per ragioni tecniche (peraltro legittime) per aver osato chiedere una squadra in grado di “vincere subito”.
La Juventus, inutile dirlo, deve tornare in mano ai suoi veri tifosi o, per lo meno, a chi crede in un progetto e ha sete di vittorie. In questo senso delude il comportamento della curva juventina che dapprima ha appoggiato la passata dirigenza, improvvisamente invischiata nella farsa di due estati fa (“La Triade non si tocca”), per poi improvvisamente adeguarsi di fronte ad ogni desiderata dei nuovi reggenti. Non che ci aspettassimo treni fermati, bidoni incendiati e la sede sotto assedio ma, almeno, una puntatina all’orgoglio e una sferzata ai dormienti di corso Galfer sarebbero stati doverosi. Se non ora, almeno in tempi di ricorsi ritirati. Sempre che l’imborghesimento in atto nelle segrete stanze torinesi non abbia intaccato il senso dell’onore cui questo tipo di tifoso tiene molto e non lo abbia mesmerizzato facendogli credere di essere un pollo anziché un’aquila. Perché, suvvia, chiunque ormai si è accorto che qualcosa (di grosso) sulle rive del Po non funziona. La Juventus dovrebbe infatti avere altri e ben più grandi obiettivi che il vivacchiare da provinciale tra promesse mai mantenute, stucchevoli appelli alla grinta e parametri zero sul taccuino.

Non rimane quindi che auspicare un passaggio di mano, una cessione della proprietà ad un nuovo ed ambizioso azionista. Un’eventualità assai difficile ma che, sempre di più, sta prendendo corpo nel cuore dei sostenitori di Madama. Se questa squadra rappresenta un peso per i propri padroni, che si cerchi un acquirente. Sempre che un tale progetto non sia realizzabile per qualche misterioso e “farsopoliano” motivo…